martedì 23 dicembre 2014

Stagionatura.. di natale!!

Come anticipato al buon Filippo (commenti nel post scorso), la riflessione di questo post verte sulla maturità.

Siamo vicini a Natale e di fronte ad un nuovo anno.
Ho aspettato a parlare delle mie riflessioni sulla maturità, proprio per scriverne ora, in prossimità dell'anno nuovo.

Perché?.
Perché trovo che la parola maturità, per come la intendiamo noi, sia una parola incompresa.
Trovo che il significato della parola maturità sia molto vasto.. e molto profondo.

Quando si pensa alla maturità, ci viene spontaneo accostare questo termine all'esperienza di una persona.
E' una cosa che percepisco in modo molto marcato.

"Non puoi bere alcolici, non sei maturo."
"Non puoi guardare film per adulti, non sei abbastanza maturo."
"Stai a casa e giochi soltanto ai videogiochi, sei immaturo."

Quando compio una determinata età, la società riconosce che ho l'esperienza per compiere determinate scelte, che ho ben compreso il legame che sta alla base della causa e dell'effetto.
Questa è la visione che la società attribuisce alla parola "maturità".

Per quale motivo non mi sento soddisfatto di questa definizione?.

Forse perché rimanda ad uno schema imposto.
Forse perché non riconosco nulla di tutto questo, in quello che mi circonda.
Forse perché è una definizione di maturità data da persone superficiali?.

Ho incontrato molte persone, ma sono poche quelle che mi hanno trasmesso un senso di profonda maturità.
Forse perché la maturità non è semplice esperienza, da qui la mia riflessione: ci deve essere dell'altro.

Immagino un viaggio dentro noi stessi.
Il tentativo di capire il perché di quello che ci accade, nel presente e nel passato, con occhi oggettivi.
L'analisi del proprio comportamento, la crescita personale, lo spostamento dell'attenzione dagli altri a noi stessi.
Da quel momento in poi non ci improntiamo più sulla coscienza altrui, creiamo la nostra.

Una persona matura non darà mai ad altri la responsabilità delle sue scelte.
Una persona matura non si lamenta in modo vuoto, agisce e propone soluzioni.
Una persona matura percepisce la sua dignità, la associa a sé stesso/a.
Una persona matura, prende delle decisioni con coscienza e in modo indipendente, senza farsi trasportare dagli altri.

E' un fattore proporzionale.
Più una persona viaggia dentro di sé e più matura.
Un individuo non sarà mai in grado di comportarsi da persona matura, finché non si pone delle domande e impara a vedere il mondo con i suoi occhi.. e non con quelli altrui.




Auguro a tutti voi un felice natale.. e un anno nuovo ricco di sorrisi =)








domenica 30 novembre 2014

Caro amico ti scrivo..

C'è una domanda che mi è sempre rimasta fissa in testa come un loop, da molto, molto tempo.
Come mi comporterei se mi trovassi faccia a faccia con me stesso, nel mio passato?.
Cosa "mi" direi per essere una persona migliore?.

Ovvio, non posso saltare nel tempo, però posso usare la fantasia.. l'immaginazione.

Ma non voglio limitarmi a questo.
Non voglio scrivere banalmente una lettera verso il passato.
Ho preso atto di una cosa interessante: con il passare del tempo quello che dicevo al me stesso più giovane cambiava, e vorrei provare a scrivere di questo.

Se a scrivere fossi io una quindicina di anni fa (15 anni), quando andavo a scuola, mi sarei detto di andare in palestra per farmi grosso, per sottomettere il bulletto di turno, e per garantirmi il rispetto delle ragazze che mi stavano attorno.
In quel periodo, come tutti gli adolescenti, i guai che combinavo me li soffrivo tutti.
Le delusioni sentimentali e i fallimenti quotidiani venivano vissuti tutti con grande intensità.

Una decina di anni fa (20 anni), mi sarei detto di non fermarmi mai, e di inseguire i miei sogni e l'idea della coppia perfetta.. e magari di passare qualche ora in meno al PC.
In quel periodo iniziavo a pensare con la mia testa, ero una persona estremamente romantica e sognatrice, nonostante questo non amavo trovarmi in situazioni non familiari, ..e si, passavo veramente tanto tempo davanti al mio PC giocando online.

Cinque anni fa (25 anni) mi sarei dato dello stupido, per non avere cercato prima l'individualità di pensiero e di non aver gettato le basi per la mia indipendenza.
In quel periodo ero sommerso dalle conseguenze dell'avere avuto una vita priva di responsabilità, coccolato in ogni modo, questo è ovviamente sfociato nella mia incapacità di adattamento.

Oggi... a 30 anni, le cose sono cambiate ancora.
Ti parlerei della risoluzione e della forza che può generare.
Ti parlerei della dignità, e di quanto TU sia importante, non sempre e solo gli altri.
Ti direi che le relazioni non si basano sul dare gli altri per scontati ..e che, per quanto ci si sforzi, gli altri non possono essere cambiati.
Ti parlerei dell'illusione della felicità persistente.
Ti direi che hai ignorato le tue capacità, pensando inconsciamente a tuo discapito, limitandoti.

Allo stesso tempo avrei paura di dirti tutte queste cose.
Forse perché mi manca essere te.


lunedì 6 ottobre 2014

Il discount delle toghe

Passeggiando in mezzo alle persone, in seguito a recenti eventi, mi sono fermato a riflettere.
Prendo atto di quanto sia semplice per tutti noi non farci gli affari nostri, o elargire giudizi affrettati.

L'ho visto negli altri, ma anche in me stesso.. e con che frequenza!.

Si può dire che, generalmente parlando, farsi gli affari propri sia un'arte che ogni persona dovrebbe coltivare nel proprio giardino di casa.
Quanto spesso ci/mi è capitato di esprimere un giudizio su qualcosa o qualcuno senza di fatto sapere niente o poco in merito?.

Per un sentito dire.
Perché lo dicono i giornali.
Perché l'hai sentito dire da un amico o da un collega.

Ho spulciato nella rete e ho trovato numerosi riferimenti sul giudizio affrettato.
Mi rendo conto però di quanto sia facile scrivere di questo argomento su un blog.. ma di quanto sia effettivamente difficile trasformare questi concetti in azioni concrete: azioni che abbiano un risvolto sul quotidiano.

Perché dico che lo trovo difficile?.

Probabilmente, immagino che i consigli, il gossip e i giudizi, fungano da comburente per accendere un argomento di conversazione.
Spesso e volentieri, infatti, si sfocia in una escalation di commenti sempre più negativi.

Perché viene così facile peggiorare la situazione con conversazioni inutili?.
Forse perché siamo tentati di saltare alle conclusioni pur non avendo le idee ben chiare. 

Bisogna cercare soluzioni, devo informarmi di più, leggere e interessarmi a nuovi passatempi.
Devo trovare nuovi spunti di conversazione.

Ho nominato anche i consigli.
Mi chiedo, quante volte abbiamo/ho dato consigli non richiesti?.
Se qualcuno non ci chiede un consiglio su come affrontare un problema, significa che non ne ha bisogno.. oppure si, ma non da noi.

Un'altra facciata da non sottovalutare è che la fretta di giudicare ci porta a prendercela per cose che non ci riguardano affatto.
Si collega al prendere le cose sul personale, ne avevo parlato anche in questo post.
Alla fine prendere le cose sul personale è anch'essa una forma di giudizio, una forma di saltare alle conclusioni sbagliate.

Concentriamoci su noi stessi e su come migliorarci.
Quando si tratta di amici e colleghi, ma anche di estranei, evitiamo di curarci troppo di quello che dovrebbero fare per migliorarsi.

Non è affar nostro.

Il discount delle toghe ha aperto i battenti già da troppo tempo.
È ora di iniziare a chiuderli e vivere più sereni con noi stessi e con gli altri.









mercoledì 17 settembre 2014

Epicuro e il Nemico Negli Occhiali

Capita talvolta che interagendo con le persone o affrontando una situazione, ci si trova di fronte ad una scelta.

Lo faccio o non lo faccio?.
Lo dico o non lo dico?.
Quella persona si è comportata in modo freddo, me la devo prendere?.
Ho fallito, significa che non sono all'altezza?.

Può capitare una situazione specifica, una interazione.. un ostacolo.
Nella maggioranza dei casi le interazioni, i problemi e le situazioni, generano dei sentimenti nelle persone.

Odio e Rancore.
Gelosia.
Paura.
Tensione.
Gioia.

Le persone sono convinte che questi sentimenti nascono dalle situazioni stesse, ma nel fare ciò, dimenticano un dettaglio non indifferente.
Quando dico "generano" non mi riferisco ad una generazione diretta.
Ad ogni situazione o evento della nostra vita, corrisponde una nostra interpretazione.
E' la nostra interpretazione che genera in noi i sentimenti.

Capita spesso che ripensate ad un evento passato, oppure prendete in mano una vecchia foto che conoscete bene.. e li "vedete" con occhi diversi.

E' mio pensiero che l'interpretazione sia un fattore dalle potenzialità illimitate per la crescita personale.
Questo poichè l'interpretazione è generata dai princìpi personali e dall'esperienza.

Per diretta conseguenza penso che "sforzarsi" di non sentirsi tristi, impauriti o arrabbiati, non è il modo migliore per risolvere la questione.

Questo perchè non agite a monte.. ma a valle, e non considero la soppressione di un sentimento come una soluzione.
La lente/il filtro è quello che io considero il "nemico".

Il nemico è un bel paio di occhiali.
Il nemico è invisibile, quotando matrix potrei definirlo "una prigione senza sbarre".
Il nemico è inconscio, un programma che applichiamo automaticamente senza rendercene conto.
Il nemico è un qualcosa che ci fà vedere il mondo solo secondo la considerazione che abbiamo di noi stessi, degli altri e delle situazioni che viviamo.

Eppure la lente può essere cambiata: il nemico può essere manipolato.

E' mia certezza che cambiare il filtro (la lente) attraverso cui si "vivono" le esperienze, permetta alle persone di viverle sempre serenamente, perchè si può sempre trovare una interpretazione che ci renda più sereni.

Caro Epicuro, al tempo avevi già scoperto tutto questo mentre scrivevi del tetraphármakos.
Rifletto sul significato della frase "non arrabbiarti! prendi la vita con filosofia".
Che sia molto più di una semplice frase di circostanza?.










mercoledì 27 agosto 2014

Le 15 rinunce della felicità

Un blog post sulla crescita personale che ha fatto letteralmente il giro del mondo.


Sono molte le persone visionarie che si riflettono fra le righe, fra cui Einstein, Lao Tzu e Wayne Dyer.

Leggendo il post originale di Luminita Saviuc (bloggatrice di origine Romena, scrittrice del blog PurposeFairy) sono rimasto stupito da quanta crescita condensata è racchiusa in quel semplice post.

Ho deciso di tradurre quel post, in modo da renderlo disponibile anche per chi non segue l'inglese.

Ogni occasione è buona per crescere.. no?.


1. Rinuncia alla esigenza di avere sempre ragione

Ci sono così tanti che non tollerano l'idea di aver torto. - volere sempre aver ragione - anche a rischio di causare la fine di relazioni, oppure stress e dolore per noi e per altri. Non ne vale decisamente la pena. Ogni volta che senti l'urgenza di saltare in mezzo ad una sfida su chi ha ragione e chi ha torto, poniti questa domanda:  "preferirei avere ragione o essere gentile?" (Wayne Dyer). Che differenza fa? Il tuo ego è davvero così grande?

2. Rinuncia alla necessità di controllare

Sii disposto a rinunciare alla necessità che hai di controllare sempre gli altri, e quello che ti accade intorno. Sia che fossero persone care, colleghi o semplicemente estranei che incontri per strada, lasciali "essere". Lascia che tutto e tutti siano esattamente come sono e vedrai quanto meglio questo ti farà stare. “Lasciando andare si risolve tutto. Il mondo è vinto da coloro che lo lasciano andare, per coloro che provano e riprovano, la vittoria è al di la delle loro possibilità." (Lao Tzu)

3. Rinuncia ad incolpare gli altri

Rinuncia alla necessità che hai di incolpare gli altri per ciò che hai o che non hai, per quello che senti o che non senti. Smettila di mettere il potere in mani altrui e prenditi le responsabilità della tua vita.

4. Rinuncia ai discorsi auto-distruttivi

Mio Dio. Quante persone si danneggiano da sole con la loro mentalità ripetitiva auto-distruttiva? Non credere a niente che ti dica la tua mente, soprattutto se è ripetitiva e auto-distruttiva. Sei molto meglio di così.
“La mente è uno strumento superbo se usato correttamente. Usato scorrettamente, può diventare veramente distruttivo" (Eckhart Tolle)

5. Rinuncia alle credenze limitanti

Rinuncia alle credenze limitanti riguardanti ciò che puoi o non puoi fare, il possibile e l'impossibile. Da questo momento non permetterai più alle tue credenze limitanti di tenerti bloccato nel posto sbagliato. Apri le ali.. e vola!.
Una credenza non è un’idea trattenuta nella mente, è un’idea che trattiene la mente
 (Elly Roselle)

6. Rinuncia a lamentarti

Rinuncia alla tua costante necessità di lamentarti di così taaaaaaante cose - persone, situazioni, eventi che ti rendono infelice, triste e depresso. Nessuno può renderti infelice, nessuna situazione può renderti triste a meno che tu non lo permetti. Non è la situazione che genera in te questi sentimenti bensì il modo in cui guardi quelle stesse situazioni. Non sottovalutare mai il potere del pensiero positivo.

7. Rinuncia alla comodità del criticismo

Rinuncia alla tua necessità di criticare le cose o le persone che sono diverse da te. Siamo tutti diversi eppure siamo tutti uguali: Tutti vogliamo essere felici, tutti vogliamo amare ed essere amati, tutti vogliamo essere capiti. Tutti noi vogliamo qualcosa.

8. Rinuncia ad impressionare gli altri

Smettila di impegnarti così duramente per essere qualcosa che non sei, solo per piacere agli altri. Non funziona così. Il momento in cui non cerchi più di essere ciò che non sei, il momento in cui togli tutte le maschere, il momento in cui accetti di essere te stesso, noterai che le persone saranno attratte da te, senza sforzo.

9. Rinuncia alla resistenza al cambiamento

Il cambiamento è buono. Il cambiamento ti aiuta a muoverti da A a B. Il cambiamento ti aiuterà ad applicare dei miglioramenti nella tua vita e nella vita di coloro che ti stanno attorno. Abbraccia il cambiamento, non resistergli.
Segui la tua beatitudine e per te l'universo aprirà porte laddove c'erano solo muri.” 
 (Joseph Campbell)

10. Rinuncia alle etichette

Smattila di etichettare quelle cose, persone o eventi che non comprendi in quanto diverse o "strane". Apri la tua mente, poco alla volta. Le menti funzionano solo quando sono aperte.
"
La forma più alta di ignoranza si ha quando rifiuti qualcosa solo perché non la conosci affatto. (Wayne Dyer)

11. Rinuncia alla paura

La paura è solo una illusione, non esiste, l'hai creata tu. E' tutto nella tua mente. Correggi l'interno e l'esterno si aggiusterà da sè.
“L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa.”
(Franklin D. Roosevelt)

12. Rinuncia alle scuse

Vuoi licenziare qualcuno? Fai fare loro le valigie e dì loro che sono licenziati, non ti servono più. Molto spesso ci limitiamo a causa di tutte le scuse che ci inventiamo. Invece di crescere e lavorare nel migliorare noi stessi e le nostre vite, ci incastriamo, mentiamo a noi stessi, usiamo ogni genere di scusa. Scuse che nel 99.9% delle volte non sono nemmeno reali.

13. Rinuncia al tuo passato

Lo so, lo so. E' difficile. Specialmente quando il passato sembra molto meglio del presente, e quando il futuro sembra spaventoso, ma devi prendere in considerazione che il momento presente è tutto ciò che hai e tutto ciò che mai avrai. Il passato che tanto cerchi, il passato che ora sogni, è stato da te ignorato quando era il momento presente. Smettila di deluderti, sii presente in tutto ciò che fai e goditi la vita. Dopotutto la vita è un viaggio non una destinazione. Devi avere una visione chiara per il futuro, preparati come si deve, ma sii sempre presente "ora".

14. Rinuncia agli attaccamenti

Questo è un concetto che, per la maggioranza di noi, è difficile da comprendere, e devo dirvi che lo è stato anche per me, e non è qualcosa di impossibile. Si migliora con il tempo. Il momento in cui ti distacchi da tutto ciò che ti circonda (Non mi riferisco agli affetti. L'attaccamento nasce dalla paura, l'amore no, è puro, gentile e non egoista, per questo amore e attaccamento non possono coesistere) torni in pace con te stesso, tollerante e sereno. Raggiungerai un luogo dove potrai comprendere ogni cosa senza nemmeno impegnarti, uno stato oltre le parole.

15. Rinuncia al vivere la vita sulle aspettative altrui

Decisamente troppe persone vivono una vita che non deve essere da loro vissuta. Vivono la loro vita in accordo con ciò che gli altri pensano sia meglio, siano gli altri i genitori, gli amici, i nemici, gli insegnanti, lo stato e i media. Ignorano la loro voce, la loro chiamata. Sono così impegnati ad accontentare gli altri che perdono il controllo sulla loro vita. Dimenticano ciò che li rende felici, ciò che vogliono, ciò che necessitano, ed eventualmente si dimenticano persino di sé stessi. DIsponi di una vita, questa qui, proprio adesso, devi viverla, possederla e, soprattutto, non lasciare che le opinioni altrui ti distraggano dal tuo sentiero.





martedì 1 luglio 2014

La morte ama gli scacchi

A volte ci si sveglia assonnati.
A volte ci si sveglia con il sogno fatto ancora in mente.
A volte non ci si sveglia del tutto, e si rimane in dormiveglia.
A volte non ci si sveglia.

L'altro giorno mi sono svegliato con gli occhi sgranati,e con un pensiero nella mente.

La paura più grande, pensando alla morte, non è forse l'eterno dubbio di non esistere più?.

Prendiamo l'ipotesi peggiore: dopo che moriamo non esistiamo più.

Non è forse questo il motivo della nascita delle religioni?.
Lo sfuggire alla natura duale delle cose.
Essere immortale.

Vi è mai capitato di dormire per 8-9 ore senza sognare.. e svegliarvi con la sensazione che vi siete assopiti pochi istanti prima?.
Togliamo le esperienze di pre-morte e simili: un sonno "spento", senza sogni, non è forse l'evento più vicino alla morte di cui possiamo fare "esperienza"?.

Perché abbiamo così tanta paura della morte.. mentre non abbiamo paura di assopirci e perdere coscienza?.

Il non esistere più presuppone l'assenza di coscienza.
Non puoi essere conscio di essere incosciente giusto?.

La luce non esisterebbe se non esistesse il buio.
Il suono non esisterebbe se non esistesse il silenzio.
La vita non esisterebbe se non esistesse la morte.

La morte dà significato alla vita, come il bianco dà significato al nero.



...Decisamente, alla morte piace giocare a scacchi.






sabato 31 maggio 2014

Il Kai Zen e il miglioramento perpetuo


Kai Zen.

Un termine giapponese che ha cambiato la storia dell'efficienza.
Una metodologia che ha fatto grandi cose, e che ha rivoluzionato il sistema di produzione.

Trovo incredibile quanto si possa imparare da modi di pensare diversi dai nostri.
Spulciando fra un tecnica, un detto comune e un'usanza, si riesce sempre a intravedere una lezione di vita.

Il Kai Zen è un termine molto usato negli ambienti di produzione e aziendali.
Significa letteralmente "cambiare in meglio".


 
Il Kai Zen è un concetto molto semplice.
In breve, non è altro che la presa di coscienza che l'efficienza perfetta non esiste.
Basandosi su questa netta affermazione, si prefigge quindi un miglioramento continuo e a piccoli passi.

Se i giapponesi hanno potuto applicare questo concetto di efficienza alla logica aziendale e produttiva, trovo sensato adottare la stessa logica nella nostra vita di tutti i giorni.




Tempo addietro scrissi un post al riguardo della mia visione dell'efficienza ( link ).
Visione, la mia, molto simile a quella che oggi viene definita come "Zona di Comfort":
Uno stato comportamentale.
Uno zona dove una persona opera e agisce in uno stato neutrale.
Un contesto o una situazione che quella stessa persona percepisce come sicuro.

A questa visione, diedi il nome di "Campi di Efficienza".

I Campi di Efficienza e la Zona di Comfort rappresentano il meccanismo.
Il Kai Zen è invece la filosofia che sfrutta questi meccanismi per crescere in quello che stiamo facendo in una curva che tende verso l'infinito.






Coltivare le relazioni personali.
Migliorare l'ambiente di lavoro e la produttività.
Generare crescita personale e abitudini nuove.

Sono tanti i campi nella quale tutto questo può trovare applicazione.
Più leggo e scavo, più mi convinco che non esiste un qualcosa che non si possa migliorare.
Qualcosa che possa essere fatto meglio di prima.

Jon Miller.
Mike Wroblewski.
Jaine Villafuerte.

..Un giorno mi deciderò a leggere il vostro libro.











martedì 13 maggio 2014

Riflessioni sull'omosessualità e le coppie gay

Da molto tempo ormai ascolto, fra le altre, alcune notizie che toccano l'argomento omosessualità.

E allora perchè no.. scriverò un post sull'omosessualità.

La cosa che ho visto in comune, fra tutte le parti in causa, è che tutti fanno di ogni cosa un mazzo.

Chi dice che l'omosessualità è una malattia.
Chi dice che l'omosessualità è un feticismo, una distorsione volontaria e perversa.
Chi dice che l'omosessualità non è nulla di diverso dall'avere una carnagione diversa dalla media.

Mi sembra di sentire le solite chiacchere da bar, mentre si discute le scelte degli allenatori di calcio o di basket, parlando come se si possedesse una saggezza che ci pone ad un gradino superiore.

E' sempre stato così, come per tutte le opinioni: le persone che giudicano l'omosessualità, solo sotto un determinato aspetto, finiscono per filtrare tutte le informazioni, prendendo solo quelle che supportano la loro posizione.

Non c'è dialogo, non c'è confronto, solo tanta moralità e ossessione.

Prendiamo l'esempio della malattia ereditaria.
Anche se fosse, quale sarebbe il problema?.
Se un nostro amico ha un problema ereditario ai denti ne facciamo un caso nazionale?.

Prendiamo l'interpretazione dell'omosessualità come feticismo.
Anche se fosse, quale sarebbe il problema?.
Se un uomo va a letto con tre donne e fa un'orgia non è forse un feticismo di pari livello?.

Prendiamo la visione della deviazione cattiva e perversa.
Anche se fosse, un omosessuale cattivo e perverso, è forse diverso da un uomo etero che si comporta in egual modo?.

Quello che io vedo, sporgendomi la fuori, è che in tutte queste situazioni, l'omosessualità è un fattore trascurabile.
Non vedo nulla di diverso nell'omosessualità dall'avere un colore diverso della pelle, o dall'avere un accento diverso.

Tutto questo perchè le persone sono cresciute in una società che teme la diversità.
Una società che giudica e che non ricerca.

Si, io penso che la nostra società ancora non sia pronta.
Eppure tutti guardano al passo successivo! il matrimonio e le adozioni!.
Penso che sia decisamente troppo presto, nonostante le forti correnti odierne.

Un esempio? l'incapacità di distinguere un "matrimonio" civile da un "matrimonio" religioso.

La parola matrimonio è per l'appunto una semplice parola, eppure le persone ne sanno associare solo il significato religioso.. ed è così che le persone si offendono, si sentono colpite nel loro intimo.

Mancano alcuni step da percorrere, e quando i tempi saranno maturi sono certo che la situazione verrà vista in modo più permissivo.  

Non si può riparare lavorando a valle per un problema che sta a monte.
Si cerca di fare il passo più lungo della gamba.

Un'altra sfumatura è l'accusa orientata verso le coppie gay a proposito del loro esibire, talune volte, un comportamento eccessivo.
Io penso questo: un comportamento eccessivo è un comportamento eccessivo e basta, a prescindere da chi lo dimostra.
Un eccesso da parte di un individuo gay è sovrapponibile ad un eccesso di un individuo etero.

L'unico neo in questa paritaria descrizione è rappresentato dal fatto che, estremizzare un diritto rende ancora più diversi, che non è proprio ciò che si vorrebbe.
E' un peccato perchè sono certo che in molti casi è proprio l'insicurezza che porta a comportarsi così.
I detrattori di tale diritto non aspettano altro, e la loro specialità è proprio fare dell'erba un fascio.































venerdì 18 aprile 2014

Il secondo volto della dignità

Durante le mie conversazioni, mi capita spesso di affrontare argomenti inerenti la dignità.

Se ne parla spesso.

In televisione.
Per strada, dibattendo sulla politica.
Quando, per strada, il conducente di un altro veicolo ti insulta.

L'onore dei giorni nostri.
La sua evoluzione!.

Si apre il sipario ed entra sua signoria Dignità, avvolta da un nero mantello che, per metà, ne copre la figura.

Percepisco proprio questo.

E' mio pensiero che, molto spesso, viene usata solo quella facciata della dignità che riguarda il diritto di nascita che abbiamo in quanto esseri umani.
Quel diritto al rispetto che esigiamo sempre da coloro che affollano le nostre vite.

Mi domando, è davvero solo questa la dignità? è davvero solo il pretendere rispetto dagli altri?.

Ho sempre visto la dignità come un qualcosa di più profondo, la misura della luce sotto cui vediamo noi stessi.
Un qualcosa che va coltivato, meditato.. e non dato per scontato.
Un qualcosa che supera l'importanza di tutto ciò che ci circonda, partner compresi.

C'è chi si lamenta di un'offesa ricevuta, per poi comportarsi allo stesso modo verso gli altri.
C'è chi si vanta del proprio onore e della propria dignità per poi fare il verme.

Una persona che ha coltivato nel tempo un proprio valore personale, sviluppa rispetto verso gli altri.
Analogamente una persona che ha rispetto per sé stessa attirerà lo stesso rispetto da parte di altri.

La dignità viene percepita in molti modi.
Da come ci esprimiamo.
Da cosa diciamo.
Da come ci muoviamo, consciamente e non.

E' mio pensiero che strappare il mantello, che copre il secondo volto della dignità, sia come strappare la benda che abbiamo davanti agli occhi.
La benda che ci priva della visione periferica nei rapporti interpersonali e che ci porta a vivere determinate situazioni in modo incosciente.

Pensandoci non è la prima volta che abbozzo un post sulla dignità.
Fu nel post dove denunciavo il servilismo di taluni ragazzi nei confronti delle ragazze che corteggiano ( link al post ).






 
  

giovedì 13 marzo 2014

L'uomo, i meccanismi e le macchine

In questo ultimo periodo mi sono trovato a riflettere sul senso della vita.
Mi sono posto una domanda.
"Come si può capire il significato della vita senza saper definire oggettivamente la vita?."

Un essere vivo respira. ...OK.
Un essere vivo si move. ...OK.
Un essere vivo si riproduce. ...OK.

Per quale motivo non riusciamo a definire la vita se non con un insieme di aggettivi che la caratterizzano?.

Forse la nostra difficoltà nel definire la vita è un qualcosa che ci spaventa nel profondo?.

Prendiamo come riferimento le macchine.

Non siamo forse noi stessi delle macchine, in un certo senso?.
Non siamo forse noi stessi dei programmi?.

Si parla sempre di I.A.
Si parla sempre del come trasformare una macchina in un essere "pensante".
Non si parla mai del contrario.
Non si parla mai di quanto sia facile trasformare un uomo in una macchina.

Un programma.
Un programma che noi abbiamo già dentro di noi e che regola il nostro quotidiano.
Un programma che può trasformare sé stesso in modo plastico.
Un programma che può trasferire queste trasformazioni in un cambiamento fisico.
Un programma che prevede l'autosostentamento.

In una visione simile quale sarebbe lo scopo della vita?.
Che ruolo rivestirebbero in tale senso la riproduzione e la morte?.

Se la nostra "vita" non fosse affatto così diversa dalla "vita" di una macchina programmata?.
E se persino la nostra coscienza e la nostra "individualità" non fossero altro che parte di quel programma?.

La cosa che più mi colpisce..e più mi spaventa.. è quanto la similitudine sia azzeccata.




Parlando di macchine, concludo con un consiglio.

Per chiunque si domandi quale sia la radice di film importanti come Matrix e Avatar.
Guardatevi il film animato "Ghost in the shell 2.0" e il seguito "Innocence".
Sono dei film pesanti, ma magistrali e veramente molto profondi.
Sia Matrix che Avatar sono stati ispirati interamente da questi due lungometraggi, e dalle relative serie televisive.









venerdì 14 febbraio 2014

Eutanasia e strumenti di tortura

E' stata una riflessione molto lunga.

Leggendo per la rete le varie posizioni pro e contro all'eutanasia, mi sono sorti numerosi pensieri.

Premetto che ci sono moltissimi casi.
Sarò chiaro: in questo post non voglio entrare nel merito di chi non è nella condizione di esercitare alcuna capacità decisionale.
Mi rivolgerò quindi nello specifico, a quei casi in cui il paziente ha pienamente coscienza delle sue scelte e non è nella condizione di potersi fisicamente dare la morte. (Es. Piergiorgio Welby)

Sentendo numerosi pareri, ci sono alcune cose che mi hanno colpito profondamente, che sono poi diventate spunto di riflessione.

C'è un gruppo di persone che sostengono una motivazione etica dietro al rifiuto dell'eutanasia.
Per questo gruppo se aiuti una persona a morire sei un omicida, equiparabile ad un serial killer che ti entra in casa e ti spara.
Si prende tutta l'erba e si fa un fascio, idem da parte della legge. (legge 578 del '93).

Penso questo.
La maggioranza di coloro che prendono una posizione, vedono solo un lato della medaglia.
Escludono l'altro.
Si guarda sempre le cose sotto una visione di giusto o sbagliato.

Domanda: non basterebbe un foglio di carta redatto con notai, medici e psicologi per separare nettamente queste due realtà, come fanno in Belgio?.

Dove mettiamo il diritto del paziente?.

Trovo che darsi la morte è il diritto più grande che puoi riconoscere ad un essere umano.
E' anche uno dei diritti più difficili da riconoscere perchè comporta la perdita di una persona cara.

Ho sempre pensato che i diritti di una persona si fermassero prima di invadere i diritti di un'altra.
Si paragonano le sofferenze incalcolabili di un paziente ad una persona depressa che chiede al proprio partner di premere il grilletto.

No.

Non sono la stessa cosa, non possiamo continuare a vedere il mondo in bianco e nero.

Questo mi porta a riflettere sul significato della parola "vita".

Molti usano una definizione o l'altra solo quando fa comodo a loro, come i buonisti che cambiano facciata quando qualcosa di tragico li tocca sul personale.

Concludo dicendo questo.

Vedere la vita solo fine a sé stessa.
Non è forse questo un insulto a questa vita che tanto eleviamo?.
Non è forse l'abbassare la vita ad una banale partita a scacchi?.

Se la vedessimo all'opposto?.
Se in certi casi fosse proprio la morte e rendere grande una vita?.

Molti la fanno facile dall'alto dei loro giudizi.
Un tempo Luttazzi disse una cosa che mi illuminò d'immenso:
"chi non gioca al gioco non faccia le regole".










domenica 2 febbraio 2014

Il mito della genialità

Quasi tutti concordano, un fondamento basilare del modo di pensare della gente.
E' diventato costume, con il passare dei secoli, pensare che geni si nasce.

Si pensa a geni come Mozart, Beethoven, Newton, Tesla.

Le ricerche scientifiche applicano un test che valuta il quoziente intellettivo delle persone, come se l'intelligenza fosse un qualcosa di facilmente confrontabile.
Non facciamo lo stesso quando andiamo a fare la spesa nella sezione frutta e verdura?.
Il gene dell'intelligenza.

Ebbene: Non concordo.

Non riesco a concepire questo forzare la mano nel sovrapporre le capacità intellettive.
Delle due apprezzo maggiormente Howard gardner, che ha provato a differenziare l'intelligenza di una persona in sette categorie.

Tutto questo va in contrasto con la nostra natura neuroplastica.
Siamo individui altamente adattogeni.. non solo muscolarmente.

Nella mia mente lo sport è l'esempio per eccellenza.
Penso che l'intelligenza sia un meccanismo specializzato, nello stesso modo in cui l'allenare un muscolo con un esercizio, ti permette di diventare forte in quell'esercizio e in quella modalità di allenamento.
Questo perchè la forza ha una componente mentale ben superiore a quanto immaginiamo.
C'è un motivo se chi si allena per uno sport di potenza non si allena come un bodybuilder.
C'è un motivo se chi vuole diventare un maratoneta non fa gli scatti sui 100 metri.
Rientra tranquillamente nel principio della specificità.

Pffff... i geni.
Mi dispiace che quado ci si pensa si tenda a considerare solo le loro opere.
Le persone ignorano il percorso da A a B di questi individui, come se fossero nati già in B.

La gente pensa a Beethoven come un genio ignorandone il padre musicista, che lo torturava durante le sessioni di pratica.
La gente pensa a Picasso come un genio ignorandone il padre pittore, gli anni d'infanzia passati insieme dipingendo continuamente.
La gente pensa a Newton credendo che una mela l'avesse colpito in testa, scontando che nessuno, prima di allora, si fosse accorto che le cose cadono verso il basso.
La gente Pensa a Mozart ignorando l'influenza del padre musicista e l'enorme abilità della sorella Nannerl, messa in secondo piano dopo la nascita del fratello.
La gente pensa ad Einstein ignorando l'enorme influenza che ha avuto un amico di famiglia (Max Talmey) sui suoi studi e sul suo modo di studiare.

Non trovo giusto il considerare le opere finali come delle apoteosi della genialità, anzi.
Trovo che il principio di specificità si adatti perfettamente anche a questa situazione.

Malcom Gladwell nel suo libro "the story of success" definisce come "maestria" di un soggetto la conoscenza, in un determinato campo, ottenuta dopo 10.000 ore di pratica.

Sembrano un' infinità vero? Eppure è tutto relativo:
Fate fatica a parlare con qualcuno usando la voce?.
Fate fatica a leggere a voce alta un testo qualsiasi, scritto nella vostra lingua?.

Ricordate le difficoltà che avete dovuto superare, da piccoli, per saperlo fare?.
Non avete forse praticato per decine di migliaia di ore per saperlo fare in modo così fluente?.
Eppure non ve ne rendete conto.

E allora mi piacerebbe stracciare questo velo di genialità che da sempre ci impone la sua volontà!!.
Impostora e testimone involontaria al contempo, strumento autocommiserativo d'eccellenza!!.

L'epilogo di oggi è il gene che determina la genialità, il santo graal dello studio.
Su questo ho un solo commento.

Siamo esseri umani.
Una miccia, del materiale innescabile e un pizzico di cattiveria.. è tutto quello che ci occorre.
Forse intuite a cosa mi riferisco, e credetemi, la genialità a confronto è nulla.










 


martedì 21 gennaio 2014

La disciplina e la natura della scelta

La nostra società è famosa per far credere alle persone di avere una scelta.
E' talmente brava che ci convince di aver fatto delle scelte prive di influenze.

La maggioranza delle nostre scelte vengono fatte in base alle possibilità che gli altri ci mettono a disposizione.
Molti agiscono come se le scelte che vengono proposte loro, siano l'unico margine di manovra.
Si fermano li.

"Perchè?" mi sono chiesto.

Forse perchè è più semplice.
Forse perchè siamo presuntuosi.
Forse perchè ci evita lo sforzo di cercare una soluzione per conto nostro.
Forse perchè ci illudiamo che meno tempo = più efficienza = scelta migliore.

Sia chiaro.
Con quello che scrivo non intendo insinuare che una scelta condizionata sia sempre una scelta sbagliata.
Lo trovo falso.

Eppure penso che condizionare ed essere condizionati usando la natura della scelta sia facile.
Persino con il più onesto dei propositi.
Prendiamo un esempio pratico, volontariamente un po' al limite.

Poniamo che avete un problema importante sul luogo di lavoro e volete parlarne con un vostro superiore.
Dopo l'esposizione del problema, decidete di aggiungere al contesto un paio di possibili soluzioni.
Da un lato farete la bella figura di chi si interessa dei problemi dell'azienda.
Dall'altro lato, metterete in atto su di lui lo stesso sistema che la società adotta su di voi.
Se il vostro superiore è una persona molto passiva e facilmente influenzabile, si limiterà a ragionare all'interno delle possibilità che gli avete dato.
In parte dipende anche dal vostro modo di rapportarvi.

C'è chi lo fa con le migliori intenzioni e involontariamente.
C'è chi lo fa volontariamente per tirare acqua al proprio mulino e alla propria carriera.

E' solo un esempio ma pensateci.
Fate delle associazioni con il vostro passato.
Ritroverete lo stesso "pattern" in molte situazioni.

L'esistenza del marketing, della pubblicità, degli spot televisivi.
Fanno competizione su chi ha la presa più forte.
Sono la massima espressione di questa imposizione.

Imposizione???.
Si.
Loro non impongono nulla, ma il risultato non cambia.
A loro è il risultato che interessa.

Passiamo oltre.

Nel titolo del post ho citato un altro elemento importante: la disciplina.
Quando ho deciso di scrivere sulla disciplina, ho inteso esclusivamente quel frangente della parola disciplina che riguarda il controllo su sé stessi.

Ho scelto la parola "disciplina" perchè è una parola forte, ma voglio discostarmi dalla visione classica.
E' una parola che ricorda un maestro che scolpisce la sua opera, plasmandola a suo piacimento.

E' mio pensiero che la natura della scelta possa essere esercitata, come facile forma di controllo, solo su chi percepisce la vita come uno spettatore.

Di proposito ho usato il termine "percepisce" al posto di "vive".
"Percepisce" è un termine passivo.
"Vive" è un termine attivo, ed è sia azione che condizione.

Una persona autodisciplinata è un individuo che decide di vivere con risolutezza.
Oltre i margini di manovra, oltre le situazioni senza via di uscita.
Per farlo ella inizia un percorso.
L'inizio di un percorso risiede sempre in una presa di coscienza.








giovedì 16 gennaio 2014

le ali della libertà

Quanto siamo tutti bravi a parlare di libertà.

Ognuno ha una propria visione di cosa significhi la parola libertà.
Questa visione nasce dal passato di una persona, e ogni persona vive la "libertà" in modo diverso.

Wikipedia la definisce così:
"Per libertà s'intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un'azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto."

Pensandoci bene però, a prescindere da come la vediamo, siamo tutti bravi a pretendere.
Peccato che non siamo altrettando bravi a rispettare la libertà altrui.

Prendiamo l'amore.
Viviamo in un mondo in cui il valore possessivo dell'amore supera di gran lunga il valore affettivo di tale sentimento.
Osho nei suoi scritti ha espresso meravigliosamente questo fatto.
Egli ha associato l'amore all'apprezzamento, slegandolo dal possesso.

Leggendo tali versi però mi è emersa una domanda:

"ma se lasci libera una persona senza restrizioni, la lasci libera anche di amare un'altra persona.. per cui la lasci libera di tradirti!".

Ebbene, dopo aver riflettuto sul significato di "tradimento", sono giunto alla conclusione che ha ben poco a che fare con l'amore.

Il tradimento non sarebbe più tradimento se si informa il partner delle proprie intenzioni.. non è così?.
Questo significa che il tradimento non è in sé l'amare un'altra persona al di fuori del proprio partner.

Il tradimento è il farlo di nascosto, il sotterfugio, la mancanza di sincerità e di trasparenza.
A venire tradite sono le aspettative, non l'amore in sé.
L'amore si può solo dare, non si può controllare.

Sono tanti i risvolti della libertà, e sono molte le situazioni.

Mi piace prendere me stesso come esempio.
La cosa per me più difficile è lasciare che gli altri facciano degli errori senza interferire, rispettando le loro decisioni.

E' difficile a volte perchè quando tengo ad una persona mi viene spontaneo "guidarla", cercare sempre il meglio per quella persona.
Eppure non mi rendo conto che così facendo, non faccio altro che obbligare gli altri a pensare con la mia testa.

Ci sono così tanti dogmi che incatenano il nostro modo di pensare.
La paura di chi è diverso, degli omosessuali, di chi ha credenze diverse.

Per questo ci sentiamo rassicurati quando siamo noi ad avere dei diritti e loro non ne hanno, ce ne stiamo nel nostro piccolo mondo di tutti i giorni.
 
Ci sentiamo rassicurati di stare in un gruppo, a prescindere da cosa il gruppo dica o faccia.
Non importa se ti dicono che una margherita ha più diritti di un ciclamino giusto?.

Perdere la capacità di porsi delle domande, educare a non avere il senso critico.
Essere educati a pensare come dei pappagalli.

Eppure non ce lo chiediamo mai.

Perchè mi da fastidio? 
Perchè lo vedo come un nemico o una minaccia?
La mia paura è fondata o mi sto facendo condizionare dalla paura di altre persone? Da cosa che sono successe ad altri?.

Ci schieriamo in un plotone di esecuzione senza nemmeno sapere perchè lo stiamo facendo.
Senza un motivo fondato e meditato.

Segue l'inevitabile giro di ruota che ci regala il piatto prelibato di chi si nutre del potere.

Apriamo il menù di oggi.

Ali strappate alla griglia, con un pizzico di sale.

Ma... aspetta.. siamo sicuri che li in mezzo, fra le tante ali, non ci siano anche le nostre?.










domenica 5 gennaio 2014

Generazioni

Auguro a tutti voi un buon anno.
Che sia ricco di opportunità e di crescita.

Dedico questo pensiero, con grande rispetto, ad una insegnante a cui tenevo molto.
Spirò nel dicembre 2013.



Quando ero piccolo, mi sentivo dire frasi del tipo:
"Voi siete la nuova generazione, dovrete darvi da fare per rendere migliore il nostro futuro".
"Siamo in mano alle nuove generazioni, bastoni per la nostra vecchiaia".

Rifletto spesso su quei momenti.
Non nego di aver provato una notevole nostalgia.
Nostalgia rivolta ad un passato che appare sempre più roseo del presente.

Il presente, si.
Poprio questo presente nel quale ad una persona di trent'anni o trentacinque anni è negata l'assunzione perchè troppo "vecchia".

Mah.
Forse è stato il cambio generazionale ad essere stato compromesso... sabotato.

Ritengo che il cambio generazionale sia un concetto troppo importante, per essere tralasciato.
Importante perchè offre lavoro.
Importante perchè offre crescita personale.

Perchè menziono la crescita personale?.
E' proprio questo su cui ho riflettuto in questi giorni.

Ritengo che il cambio generazionale sia un passo necessario per completare noi stessi e la nostra crescita.
Ritengo anche che il modo in cui questo avviene è tramite un forte contrasto.
Un conflitto interiore fra quello che siamo abitualmente e quello che il poeta Giovanni Pascoli definisce come "il fanciullino": il proprio sé bambino.

Per quanto una persona sia stata protetta o ignorata.
Per quanto avessimo a cuore o meno i nostri zii e i nostri nonni.
Trovo che la loro scomparsa, indipendentemente, operi dentro di noi una forte trasformazione.

Negli occhi del fanciullino loro sono ancora presenti.
Trovo che sia molto doloroso.

Una lenta transizione, al cui termine, siamo persone diverse.
Non siamo più le persone che credevamo di conoscere, ce ne accorgiamo presto.

Le nostre abitudini.
Il modo in cui pensiamo.
Il modo in cui trattiamo gli altri.

Sono i dettagli ad essere cambiati in qualcosa.

Sono le "Generazioni" e il loro susseguirsi che apportano questi cambiamenti così profondi.
C'è chi cambia di più.
C'è chi cambia di meno.
Proprio come queste bizzarre mezze stagioni.

Il loro susseguirsi ci toglie violentemente dal bozzolo di favole in cui vivevamo, dandoci la possibilità di vedere il mondo sotto un'altra prospettiva.