martedì 10 febbraio 2015

L'uomo, i meccanismi e le macchine (Pt. 2)

Proprio l'altro giorno avevo appoggiato un foglio da qualche parte, e mi sono ritrovato, qualche giorno dopo, a cercarlo come un matto.

Se ci penso, facciamo un sacco di cose in modo automatico, senza pensarci e in modo del tutto spensierato, senza il minimo di presenza.

Camminiamo velocemente.
Corriamo in macchina.
Tiriamo fuori una sigaretta dal pacchetto e la fumiamo.
Appoggiamo le chiavi o il cellulare da qualche parte mentre pensiamo ad altro.

Facciamo le cose, ma non siamo realmente noi a farle.
Siamo automatizzati.
Siamo schiavi di un ciclo di azioni che, ripetendosi nel tempo, diventano meccanismi automatici.

Abitudine.
Non mi piace usare questo termine.
L'abitudine mi da un'idea di un qualcosa di limitato e numerabile, ma questo non mi basta.
L'abitudine, per come la recepisco, è solo la punta dell'iceberg.

Voglio andare più in profondità, nel termine "automatismo".
Gli automatismi delle persone li vedo come i meccanismi dell'inconscio.
In altre parole, un modo con cui il nostro cervello ci "tiene per le palle".

Se ci penso, esiste qualcosa nel nostro vivere quotidiano che non sia automatizzato?.
Viviamo le giornate in modo così poco cosciente.
Chissà forse al punto da poter affermare che, quando non siamo coscienti, la nostra natura è uguale a quella di un robot.

Se per davvero ci concentriamo su tutte le nostre azioni quotidiane, movimento per movimento, passo per passo, pensiero per pensiero, parola per parola, ci renderemo presto conto che non abbiamo la più pallida idea di cosa significhi essere coscienti, e soprattutto di quanto sia faticoso esserlo.

La domanda mi sorge spontanea.
E' sufficiente acquisire coscienza, tramite queste continue osservazioni?
Fino a che punto questo percorso ci può de-automatizzare?.
De-automatizzarci ci rende davvero meno robotici?.