sabato 28 settembre 2013

Coscienza e Chiodi

Rientro da questa breve pausa settimanale.
Bello per il sole, speravo in un po' meno di umidità.

Oggi parlerò della coscienza.

Parto con il dire che esistono varie interpretazioni della coscienza.
A seconda dell'ambito viene interpretata in modo diverso.
Non si può sovrapporre una interpretazione all'altra perchè sono tutte interpretazioni equivalenti!.

Su questo a mia volta ho imparato qualcosa di nuovo, un aspetto che avevo solo parzialmente collegato.

Persino assimilare la conoscenza può essere visto come un risvolto della coscienza, a prescindere dal concetto che si sta assimilando.
Wikipedia associa questo aspetto con la psicologia tradizionale, ero piacevolmente sorpreso leggendo.  

Rifletto su questi aspetti, assecondatemi per un momento in quello che scriverò qui sotto.
Proviamo ad associare la coscienza anche ad una applicazione esistenziale.
Un conto è capire il concetto di una equazione a scuola e un conto è applicarla nella vita quotidiana, somatizzandone i risvolti.

Da un lato la coscienza è parte integrante della conoscenza, dall'altro trovo questa visione limitata.
Ipotizziamo che un concetto, per essere essere correttamente integrato, debba in un certo senso essere tangente a tutte le interpretazioni esistenti (lista interpretazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Coscienza ) .

Prendiamo un argomento semplice, come il trattamento degli animali.
Se lo dici ad un adulto l'argomento suscita molteplici considerazioni, se lo dici ad un bambino lui ti ascolta ma non lo metabolizzerà subito.
Sicuramente sarà necessario un riscontro pratico legato alla vita reale, un'associazione al concetto di dolore o un legame affettivo con un animale che possano metterlo in relazione anche agli altri aspetti della coscienza.
Ricordo che quando ero piccolo maltrattavo le lucertole, adesso non più, anzi.
Eppure già al tempo mi dissero che non era giusto maltrattare gli animali ma lo facevo ugualmente, come tanti altri. 

La coscienza è come un chiodo fisso piantato su una parete in casa tua, un chiodo enorme.
Un bel giorno entri in casa, te ne accorgi e dici "occavolo, e questo chiodo da dove sbuca? da quanto è stato li?? come ho fatto a non vederlo??"

Vi rievoca una sensazione che avete già provato.. da qualche parte??

Esistendo tutti questi risvolti e visioni, faccio caso alle persone che mi sono vicine e mi pongo delle domande.
"Comprendere meglio la visione globale di questo soggetto, può aiutarci a comprendere meglio chi ci sta attorno?".
"Sapendo dei diversi risvolti, la percezione di ciò che ci accade e di ciò che impariamo può essere potenziata?"

martedì 17 settembre 2013

La maledizione del bravo ragazzo

Nella mia vita ho incontrato molte persone più grandi di me.
Ho intrattenuto molte conversazioni.

E' normale per un ragazzo imparare come gira il mondo da coloro che sono più grandi di lui.
E' normale che un ragazzo si interessi e faccia delle domande su come approcciare in modo corretto una ragazza.

Trovi quelle persone, come ad esempio la gran parte dei genitori / nonni, i quali ti dicono che le donne vanno "trattate come delle principesse".
Trovi quelle persone come molti amici, che ti dicono "come quella canzone dei GemBoy! trattale male! buttale giù dalle scale! più le tratterai male più ti seguiranno!".
E ancora "falle mille regali e complimentati in continuazione, prima o poi funzionerà, fai il clown, il simpatico".

 Non si sa più che pesci pigliare, ma in tutto questo trambusto credo che si tenda a dare ragione a quello che ci insegnano fin da piccoli o dalle persone che riteniamo più vicine.
"devi trattarle bene, devi rispettarle, devi trattarle come delle principesse" nella maggioranza dei casi.

Ci ho riflettuto spesso in passato, mi sono posto molte domande al riguardo.
Mi sono più volte chiesto "per quale motivo si deve sempre ragionare per estremi? Cosa comporta imporsi un modo di pensare così diverso da quelli che sono i princìpi con cui siamo cresciuti?".

Mi sono detto "Marco, prova a metterti nei panni di una ragazza e prova a capire come pensa a proposito di quello che cerca".

Fu così che, per un istante, mi sono calato in vesti non mie.

"Come ragazza, cerco un ragazzo verso cui io possa portare rispetto, non un verme che dice di si a ogni mio piccolo capriccio, una persona sicura di se stessa".
"Come ragazza non sono diversa da un ragazzo sotto certi fronti, anche io cerco una persona che non mi annoi e che riesca a tenermi accesa anche dopo il primo periodo di infatuazione".
"Come ragazza cerco una persona a cui io possa fare riferimento nei momenti difficili, una persona che abbia del polso, che mi dia sicurezza".

Se mi mettessi nei panni di una ragazza più matura aggiungerei:

"Come donna, cerco un uomo che mi possa dare stabilità e serenità" .

Se penso alle nozioni che ci insegnano da piccoli.. i film, i cartoni animati, e penso a come gira veramente il mondo mi sento come se, in passato, sia stato preso in giro dalla maggior parte delle persone.

E' vero, categorizzare è impossibile.
Le persone sono tante e sono diverse.
Non è giusto da qui partire e dire "ok, d'ora in poi dico sempre di no" oppure "falle sentire di merda così magari fai la figura del duro e ti seguono" oppure "farò il clown così le faccio ridere".
Sempre stando li a cercare il metodo perfetto o la tecnica perfetta, perdendo noi stessi in favore di ciò che non siamo.
Il risultato? forse ti trovi una ragazza, ma il prezzo da pagare è la maschera.

Se dovessi cercare un punto in comune, mi viene in mente una cosa sola: la fiducia in se stessi e la sicurezza in se stessi.
Se una persona si abbassa sotto un'altra persona diventa automaticamente un verme.

Le caratteristiche di chi spadroneggia con un verme le conosciamo tutti:
- Ne faccio uso e me ne approfitto.
- Lo uso per farmi pagare quello che voglio.
- Tanto mi dice sempre di si, non ha desideri suoi, è noioso.
- E' come tutti gli altri bravi ragazzi, non è quello che cerco.

Forse avere più rispetto per se stessi ed evitare di fare i vermi cambia il modo in cui veniamo percepiti, anche sotto questo fronte.
Penso che la cosa più bella di questo aspetto è che non devi essere ciò che non sei, niente maschere.

Mi rivolgo a tutti i "bravi ragazzi" con questo pensiero, e so quanto possa a volte essere desolante.

Non siate ciò che non siete.
Nessuno ha rispetto per una maschera.
A volte una maschera dimostra palesemente di essere tale.

Non diventerete cattivi.
Non diventerete stronzi.
Non diventerete degli egoisti.
Non diventerete meno bravi ragazzi di quanto già non siete, i princìpi rimangono sempre!.
Non sarete visti come dei vermi.

Il margine di manovra è sempre lo stesso, non potendo cambiare gli altri potete investire solo su voi stessi.

Non vi rispettano? smettetela di seguirli/le come se foste dei cani.
Dimostrate un po' di carattere, ce la potete fare.

Il carattere si dimostra anche prolungando uno sguardo quando si parla, o con un semplice "non concordo, a dire il vero io la penso così.." oppure con un "non mi va proprio stasera, dai facciamo qualcos'altro".
Non serve diventare matti per dimostrare un po' di carattere, basta poco.

Dovete essere flessibili.
Come scrisse una persona "affinchè l'uno non cresca nell'ombra dell'altro" .. poichè anche gli altri possono sbagliare.
Molte ragazze, ad esempio, idealizzano molto i rapporti che hanno, e questo va sempre tenuto in considerazione.



Mi domando se non ci sia qualche altro modo.. è anche questa tutta questione di coscienza?.









 


venerdì 13 settembre 2013

cupole e monumenti all'integrità personale

Ci sono molte cupole al mondo.
Alcune sono belle, altre fanno schifo.

Pensando alle cupole che fanno schifo ho riflettuto su quante di queste vediamo attorno a noi, ne troviamo di tutti i tipi, forme ed espressioni.
Di queste la più rinomata è la cupola genitori-figli.

L'aspetto artistico di questa particolare cupola è rappresentata dal sabotaggio volontario del carattere, della personalità e delle reazioni di un bambino a quello che gli sta attorno.
Nello specifico, il sabotaggio trova eccelsa espressione nel tentativo di distruggere il senso critico del bambino, dai rapporti interpersonali alle vicissitudini quotidiane.

Questa forzatura, dettata dalla visione possessiva nei confronti del bambino, fa si che la concezione di neo-individuo venga sostituita da una concezione di neo-clone.

In un libro di kahlil gibran, l'autore scrive "I vostri figli non sono vostri, sono figli della fame che la vita ha di se stessa. I vostri figli non nascono da voi ma attraverso di voi".

Genitori che vanno in paranoia se i propri figli escono senza cellulare, trasmissione di sindromi come l'ipocondria, iperprotettivismo.
Bambini che diventano dei bambocci privi di senso critico.

WOW.

Genitori miei vi dirò la mia.
Lasciate che i vostri figli sbaglino e non criticateli per averlo fatto.
Date loro l'opportunità di imparare dai loro errori, stimolateli in tale senso.
Il mondo è crudele.
Se non saranno pronti per tempo e non avranno coltivato energie sufficienti per evolvere le proprie capacità, di loro non resterà nulla.
Dovete portare loro verso il mondo e non l'opposto!.

E' vero.
La legge della selezione naturale non esiste nei termini che associate agli animali.
Non usiamo i denti e non mangiamo i nostri simili.
La selezione naturale della nostra società è dettata dal capitalismo, poichè anche la società capitalista vanta di un sistema di selezione tutto suo.

La selezione del sistema capitalista non perdona, è spietata.
Siate pronti e prendetene atto, se siete ancora in tempo.






lunedì 9 settembre 2013

Il Doppelgänger

E' Lunedì.
Giorno alquanto particolare.
Le lancette degli orologi passano sulle ore più frequentemente rispetto agli altri giorni.

Ah già, è vero.. la mia riflessione di oggi.

Sono convinto che la maggior parte delle persone sia ammanettata da se stessa, e non per colpa loro.

Ricordo che quando ero piccolo e andavo a scuola, prendevo qualunque pretesto per non stare attento. Ero sempre distratto.. non facevo i compiti e i giorni successivi copiavo per mantenere una media che fosse "sufficiente" per tirare avanti.

Il motivo che mi veniva dato per studiare e imparare le cose era "non capisci, è importante!".
Andavo a scuola a studiare delle cose per cui non vedevo l'utilità, ragionavo in termini molto pratici.
Ora che ci penso.. cosa intendevo per "pratici"?? mi rendo conto che me ne lamentavo ma erano parole vuote come una scusante inventata sul momento.

Ora la penso in modo diverso, ma cosa è cambiato in me per pensarla così?.

"Deve piacerti quello che studi per andare bene, devi fartelo piacere" mi dicevano.

Ma era solo quello che faceva la differenza?.
Oppure è cambiato qualcosa di diverso?.

Ricordate il mio elogio dell'errore?
Se non l'avete letto potete trovarlo qui: link 

Penso che uno degli effetti collaterali del modello attuale, che ho criticato in quel post, sia una auto-attribuzione ridotta di quelle che sono le potenzialità dell'individuo.
Mi riferisco all'immagine che si ha di se', a quello che noi "crediamo" di essere capaci di fare.

Il mio presentimento è il seguente, proverò a scriverlo qui, anche se temo di non riuscire ad esprimermi come vorrei.

La vediamo come una cosa meccanica.
Ci chiedono di fare una cosa e noi la facciamo, c'è da prendere un buon voto? noi lo prendiamo, non importa come, in qualche modo ci arrangiamo e lo prendiamo.
In tutto questo non guardiamo a noi stessi, guardiamo agli altri per soddisfarli.
Il risultato? una volta raggiunto un obbiettivo ci fermiamo li.
Non ci importa di andare oltre e di esplorare ulteriori possibilità.. è come se ragionando per obbiettivi ci imponessimo inconsciamente uno schema mentale che funge letteralmente come delle catene ai polsi.

La prima volta che ho avuto la percezione di queste manette è stato quando è morto mio zio.
Quando è morto mio zio è come se il cielo della realtà in cui vivevo si fosse incrinato, mostrando qualcos'altro dietro.

Questa batosta, combinata con questo concetto,  che avevo appena compreso, mi ha in qualche modo tolto i sigilli menzionati sopra.
Non so come.

Di colpo mi sono sentito attirato verso qualcosa che non capivo.
Mi sono reso conto che quando leggevo qualcosa la capivo molto più facilmente, se c'era un argomento che mi stimolava lo approfondivo subito, quando facevo le cose mi sentivo molto più focalizzato e ricordavo molte più cose a mente.

Per questo motivo penso che in molti abbiamo delle manette.
E' come se limitassimo le nostre potenzialità mentali e fisiche.
Come se fossimo prigionieri di quello che noi crediamo di poter fare.

Mi domando:
C'è un modo per facilitare questa rimozione?.
Quanto esattamente siamo limitati? E' quantificabile?.
Porsi la domanda e riflettere può in qualche modo velocizzare la cosa?.

Viaggio mentale o implicazioni reali?
Che il famoso "Doppelgänger" sia in realtà il nostro vero io?.
















giovedì 5 settembre 2013

Pugnalate e armi non convenzionali

Ragiono di nuovo sul rispetto, questa volta in una forma più specifica.

Ho sempre pensato, sin da quando ero piccolo, che all'interno di un gruppo di persone che si conoscono vigesse una regola non scritta.
Questa fantomatica regola impediva ai membri di tale gruppo di "pugnalarsi" a vicenda.

Per pugnalarsi intendo il parlare dietro alle persone quando il diretto interessato non è presente.

E' facile.
E' sempre troppo facile.
Capita spesso.

Perdendomi in queste cose ieri sera mi sono chiesto "esiste un limite entro il quale si distingue una chiacchera da una pugnalata? è un limite dettato solo dal buon senso o può essere in qualche modo regolato da delle norme comportamentali?"

E ancora:
"Se una persona si rendesse conto di tutti i risvolti che implica una forma di rispetto, continuerebbe ugualmente a parlare dietro agli altri?".

Alla fine dei giochi mi rendo conto che è un brutto circolo vizioso.
Mi spiego meglio.
Se senti un tuo amico che sparla di un'altra persona che conosci, la regola non scritta automaticamente cessa di esistere.
In altre parole non puoi più dare per scontato che non facciano lo stesso con te.

E' molto triste.

Prendo questo post anche come riflessione su me stesso, per non commettere gli stessi errori.
Se voglio ricevere rispetto devo anche dimostrarlo.

Il mondo sarebbe un posto migliore se la gente si facesse di più i fatti propri.
Chissà.. forse certe amicizie non verrebbero meno così facilmente.







martedì 3 settembre 2013

Usare l'efficienza per i nostri scopi


C'e poco da fare.

Piu andiamo avanti con gli anni e piu pensiamo che non riusciremo ad aquisire nuove competenze e conoscenze.

"Cose da giovani!" ci dicono, se proponiamo loro di imparare qualcosa di nuovo.

Cari anziani, non dovete darvi per vinti.
Non dovete arrendervi.
L'efficienza vi viene in aiuto.

Dovete sapere una cosa al riguardo della fase iniziale in cui imparate una cosa nuova.
La fase in cui siete completamente incapaci.. dove partite da zero.
Questa fase iniziale è caratterizzata da un periodo di adattamento estremamente rapido, al punto che potreste diventare autosufficienti in tempi che arrivano anche a 20 ore.. con soli 15 minuti al giorno costanti.
Se lo volete mettere su un grafico, la linea sarebbe quasi verticale.
Forse ci vorrà un poco più di tempo ma il risultato non cambierà, la natura del cervello è adattogena, a prescindere dall'età.
La neuroplasticità ci insegna proprio questo.

Altra cosa che dovete sapere: dovete credere di esserne capaci.
Quello che pensate delle vostre capacità ha un impatto fortissimo su quello che fate o non riuscite a fare.
Se voi credete di non esserne capaci, è probabile che fallirete in quanto vi autolimiterete fin dall'inizio.

Mi rivolgo ora ai giovani.
Siete individui che dispongono di un organismo altamente adattogeno, il discorso delle 20+ ore vale anche per voi, in misura molto maggiore.
Quando avrete 25+ anni non vi ricorderete la matematica avanzata che vi hanno insegnato a scuola.
Dovete focalizzarvi sui vostri obbiettivi, dovete in altre parole specializzarvi, perchè è questa la natura del vostro corpo, quello che non usa viene scartato.
Questo ci insegna la Neuroplasticità, di nuovo.

Credo molto nel risollevamento degli anziani.. credo molto in loro e nutro speranza verso la natura dei nostri corpi, dobbiamo solo dare loro la possibilità di mettersi in gioco.