domenica 15 dicembre 2013

La fabbrica dei momenti

Mi trovo, seppure di rado, a parlare della felicità.

Ci possono essere molti punti di vista al riguardo, molti modi di intendere la felicità.

Ognuno ha il suo.

Quando mi viene chiesto cosa mi rende felice, il modo in cui sono solito rispondere è il seguente:
"Mi fa felice investire nelle situazioni".

Solitamente, in seguito a questa risposta, le persone con cui sto parlando mi guardano un po' strano.

La mia risposta nasce da una riflessione.

Da quando sono piccolo, sento parlare della felicità come di un qualcosa di persistente.
Un qualcosa che una volta che la trovi, rimane sempre con te, come nelle favole.

Non ci riesco.
Non riesco a dipingerlo, come fanno molti, come un sentimento costante.

Ad esempio non riesco a identificarmi, con chi interpreta la felicità come un qualcosa di fatto e finito.
Un lavoro, una persona, un oggetto, una fede.

L'unico modo in cui riesco a comprendere la felicità, è in modo situazionale.
La vedo come una serie di momenti piacevoli.
Un flusso di situazioni che generano in noi una sensazione di felicità, di gioia.

Per questo, investo le mie energie nel ricercare situazioni piacevoli.
Questa è per me la felicità.
L'essere felici il più spesso possibile.

Ma questo non mi basta, non posso escludere la radice da cui nasce la mia visione.

Pensiamoci.
Che senso avrebbe la felicità se si è sempre felici?.
Come potremmo apprezzare il benessere senza l'esistenza del malessere?.

Non possiamo essere felici se prima già lo siamo.
Possiamo esserlo solo se prima non lo siamo stati, per brevi o per lughi periodi.
Solo così possiamo riconoscere in noi quella differenza, quella gioia che ci pervade.

Se vivessi in una felicità costante e illimitata, probabilmente diventerei insensibile, mi abituerei.
Abituandomi la felicità perderebbe valore ai miei occhi.
Ringrazio di essere quello che sono.

Non è forse questo lo yin e lo yang della fabbrica dei momenti?.

Andiamo oltre.

Per quale motivo ho scritto sulla felicità?.
Il collegamento potrà sembrarvi curioso.

Mi è venuta in mente rileggendo il buon Yamamoto Tsunetomo, nel suo libro "Hagakure".
Un libro piacevole, a tratti molto profondo, che narra del codice dei samurai.

"Tutti si lasciano sfuggire il presente e poi lo cercano come se fosse altrove".
"Nessuno sembra accorgersi di questo fatto".
"Tienilo a mente, accumula esperienza su esperienza".
"Raggiunta questa consapevolezza non sarai più quello di prima".
"La vita non è che il susseguirsi di un momento dopo l'altro".





martedì 3 dicembre 2013

Il lato oscuro dell'efficienza

E' passato un po' di tempo dal giorno in cui scrissi a proposito del campo di efficienza. ( link )

Ben 119 giorni.

Wow, come passa il tempo!.. ma forse non è sempre un male.
Il tempo dà modo di pensare, di riflettere, di porsi degli interrogativi.
In questo caso ho riflettuto sul fatto che in certi casi, avere una buona efficienza in qualcosa ha dei lati negativi.

Su questo apro una breve parentesi.

Ieri ho letto sul sito della commissione europea che la maggioranza dei giovani fra i 15 e i 24 anni morti in incidenti stradali sono neopatentati. ( link )
Ho esaminato la documentazione presente su quel sito, ma non ho trovato quello a cui ero interessato.
Una ordinazione dei grafici "per esperienza di guida".

Con il termine "neopatentato" si parla di chi ha una esperienza di guida inferiore ai tre anni.
Quello a cui sono interessato è.. "Qual'è la percentuale di questi giovani che fa un incidente mortale, ad esempio, nei primi 3 mesi dal conseguimento della patente?".

La curiosità mi stuzzica.
Se qualcuno ha in mano dei dati di questo tipo e fosse disponibile a condividerli con me, gli sarei enormemente grato.

STOP.
Chiudo la breve parentesi sui dati della commissione europea, non volevo dilungarmi.

Per quale motivo sono interessato all' "esperienza"?.

Perchè trovo che in certi casi, l'avere meno efficienza in qualcosa possa tenerci lontani dai guai, ma voglio vedere fino a che punto.

Godere di una efficienza maggiore nello svolgere una azione comporta, gradualmente, la tendenza a dare qualcosa per scontato.
Prendere decisioni azzardate.

Si può relazionare la cosa all'altro opposto.

"Ha meno esperienza quindi può combinare dei guai".. dicono.
Concordo, ma fino ad una certa soglia.
Penso che sia solo una faccia della medaglia.

Chiudo gli occhi.

Immagino di entrare in una enorme stanza buia, una stanza in cui sono stato solo un paio di volte in passato.
Immagino di voler correre alla cieca.
Il mio istinto mi suggerisce di abituarmi prima all'oscurità procedendo lentamente, con cautela.
Questo perchè non ricordo bene cosa c'era nella stanza.
Potrei farmi male correndo.

Immagino di entrare in una enorme stanza buia, in cui sono stato migliaia di volte, persino poco fa.
Immagino di correre pur vedendo poco-nulla, dando per scontato di conoscere bene la stanza a memoria.  
E se nel frattempo qualcuno ha spostato qualcosa?.

Non è forse quando diamo una cosa per scontata, anche altrui, che mettiamo a repentaglio la nostra incolumità?.

Forse dovremmo essere più modesti sulla nostra preparazione e sulle nostre abilità, a prescindere.
Forse potrebbe insegnarci qualcosa.
Forse potrebbe salvarci la vita.












venerdì 22 novembre 2013

La tigre dal corpo di sabbia: riflessioni sulla modestia e sull'umiltà

Umiltà e modestia.
Se le parole potessero essere gemellate, seguendo la concezione comune, queste due sono le prime che sottoporrei.

Giuro.
Fino a ieri usavo queste due parole come se avessero lo stesso significato.
Per giunta negli stessi contesti. 

Le parole umiltà e modestia hanno due significati diversi, eppure vengono usate tutti i giorni come se fossero la stessa cosa.
Anche da parte mia, senza rendermene conto.

Entrambe descrivono un grande modo di vivere la vita, e l'una senza l'altra è come una notte di mezza luna, bellissima.. ma incompleta.

La modestia rende magnificienza al non ritenersi superiori agli altri, in nessun caso.
L'umiltà rende magnificienza al non ritenere una "cosa qualsiasi" superiore ad un'altra, tutto sullo stesso livello.

L'una è rivolta verso gli altri ed è collegata ad un aspetto sociale.
L'altra è una visione generica, ed è collegata a tutto ciò che facciamo e che viviamo.

Le cose per noi importanti vengono viste con priorità rispetto al resto.

Non è una cosa piccola.

Quando tutto viene messo sullo stesso livello di importanza, la visione si allarga e ci accorgiamo di cose che prima non consideravamo.
Le cose piccole, insignificanti, acquistano un significato più grande.
Le cose grandi, enormi, acquistano un significato più piccolo, vengono ridimensionate.

Esistono dei casi particolari, delle eccezioni.

Può capitare ad esempio che l'essere modesti e umili sia una conseguenza dell'essere passivi, timidi e diffidenti.
In questo caso il valore delle due qualità si riduce, e il motivo di questo non sono gli altri, siamo noi stessi.

Capita spesso.

Quanto vale essere modesti e umili quando non si ha stima per sé stessi?.

La gente non rispetta chi non ha stima in sé stesso.
Se ne approfitta.

Non è così che deve essere.
L'autostima non vale meno della modestia e dell'umiltà, anzi, le rende autentiche.

Una persona modesta e umile, per essere veramente tale ai miei occhi, deve anche camminare a testa alta nella propria dignità, come una tigre dal corpo di sabbia.
 





lunedì 18 novembre 2013

La posizione neutrale e la scoperta del pensiero dicotomico

Curioso.

E' incredibile come spesso le mie ricerche mi conducano ad affrontare tematiche tali per le quali, al termine delle mie riflessioni, arrivo a conclusioni simili a quelle rilevate dalla psicologia.
In particolare da quella branca della psicologia che studia le distorsioni cognitive.

Anzi, no, in fondo non dovrei esserne così sorpreso.
Molti studiano la psicologia proprio per capire, oltre che gli altri, anche sé stessi.
Anche solo leggendo il titolo del post, coloro che hanno esperienza su tali argomenti intuiranno in anticipo il soggetto su cui scriverò adesso.

Particolare è il caso su cui ho riflettuto in questo ultimo periodo.
Un elemento sottovalutato da molti, qualcosa che filtra tutto ciò che vediamo nella vita di tutti i giorni, assegnando a questi eventi un significato "polarizzato".. di parte.

Ragionare in bianco e nero.
Prendere una posizione opposta ad un'altra.
Ragionare per estremi, abbandonando la posizione neutrale in favore dello schieramento.

Tutto questo prende un nome.

"Dicotomia".

Ho sempre pensato che pensare in bianco e nero fosse una cosa normale, per questo ho sempre tralasciato questo argomento senza approfondire mai.
Non pensavo davvero che questo approccio alla realtà avesse delle implicazioni così profonde, e che così tanti fattori potessero emergerne.

E' una condizione naturale in fin dei conti.

Alla base del nostro identificarci in qualcosa.
Alla base del prendere una posizione.
Alla base del giudicare quello che si vede in termini di giusto o sbagliato tenendo fuori l'esperienza personale, i fatti e l'osservazione critica.

Quante volte parlando o litigando con qualcuno ho usato la parola "sempre" e "mai" anche quando non parlavo genericamente?.

"Sei sempre in ritardo!".
"Ti comporti sempre male nei miei confronti!".
"Non ti sforzi mai di essermi di aiuto!".
"Non fai mai niente!"

Mi è capitato spesso.
Anche questa è una facciata che deriva dal ragionare per estremi, mi rendo conto che questo modo di ragionare e di comportarsi.. alla lunga ha effetti molto distruttivi sui rapporti interpersonali.

Pensandoci la dicotomia è diventata a tal punto parte integrante della nostra società che sembra impossibile vivere una vita distaccata da tale concetto.

Quando si parla di una "distorsione cognitiva" ci si aspetterebbe che non si parli in generale.
Come quando parli del diabete, ti aspetteresti che solo una fetta di popolazione ne sia colpita.
Eppure quanto spesso ci capita di prendere una posizione ed essere irremovibili a prescindere?.
( ne parlai anche in un altro post, che potete leggere qui )

Riguarda tutti, me compreso, per quanto io mi sforzi di non prendere posizioni, ogni tanto mi capita.

Penso che cercare di ragionare su un livello neutrale è il prerequisito per la risoluzione di un conflitto, come l'identificarsi in una fazione è il prerequisito per iniziarlo.
In fin dei conti, come dissero quei tali, le emozioni non dipendono dagli eventi esterni ma dal significato che una persona attribuisce loro.

E' come se le persone avessero paura che il ragionare su suolo neutrale li porti a perdere la loro identità.
Loro stessi.
I loro privilegi.
La loro superiorità.

Poi certo, la maggior parte di noi non è in cerca dell'illuminazione o della santità.
Per talune cose trovo poco credibile che non si debba prendere una posizione.
Siamo esseri umani, però vale sempre la pena rifletterci e cercare di essere migliori.

Anche questa è evoluzione. 




lunedì 11 novembre 2013

Riflessioni sulla pietà: Radici di vita quotidiana

Cammino spesso sotto i portici di Bologna.

Questi portici sono incredibilmente efficaci nel consentire l'uso del centro storico anche quando piove. Bologna è famosa per questo particolare.

E' proprio sotto i portici che si trovano spesso i senza tetto..e le persone che chiedono denaro per tirare avanti, fra la menzogna e la necessità reale.

L'altro giorno quando ci pensavo mi è saltato in mente il Bushidō, il codice d'onore che avevano i Samurai.
Un'altra immagine che mi ha evocato è la stratificazione a caste famosa nella società indiana.

Sono solo esempi, ma penso a questi due parallelismi perchè entrambi condividono una visione discriminatoria del valore personale.
Sono esempi che hanno avuto (e che spesso hanno ancora..) un impatto sociale molto forte.

Per visione discriminatoria intendo che all'interno di questi riferimenti, lo status di una persona, l'appartenenza ad una casta molto bassa o la perdita dell'onore comportano la totale perdita del proprio valore di essere umano.
Nei casi più evidenti le persone non ti considerano più come un loro pari, spesso ti ignorano.

Tralasciamo il passato per un momento, voliamo alla nostra vita di tutti i giorni.

Perchè molte persone ignorano coloro che vivono per la strada a prescindere?.
Perchè molte persone sane che vedono una persona disabile, si girano dall'altra parte facendo finta di essere intente a fare dell'altro?.

Ciò che mi chiedo oggi è la cosa seguente: E' possibile comparare la visione discriminatoria menzionata sopra, con il nostro comportamento? ci sono dei punti in comune?.
Mi rendo conto che ho fatto una associazione un po' forte, la scelta è voluta al fine di dare la possibilità di approfondire maggiormente.

Provo a rispondermi da solo, vediamo cosa salta fuori.

Se penso a me stesso non ho problemi ad ammetterlo..  l'ho sempre fatto.
Rifletto.
"Lo faccio perchè non voglio che si accorgano che li guardo. Lo faccio perchè se si sentono osservati si sentono anche giudicati come diversi e non voglio che stiano male per questo".

Questa riflessione mi porta a scrivere che la comparazione che ho fatto sopra è corretta per quanto riguarda l'atto di ignorare, ma nella radice di tale atto trovo molta differenza.

L'intenzione non è di ignorarli perchè valgono meno di me..  immagino che questo valga anche per molte altre persone.
Questo già di per se' è una grande differenza.
Se mi mettessi nei panni di questi individui, tuttavia, percepirei una cosa ugualmente simile alla discriminazione.

Questo sta a significare semplicemente che, a prescindere dall'intenzione, il problema rimane.

E' il frutto del ragionare per estremi?.
Se li guardo faccio loro un torto quindi smetto proprio di guardarli? ignorandoli?.
Ci deve essere una via di mezzo.

Forse sbaglio, ma la pietà perde valore ai miei occhi, in favore del rispetto.
Questo perchè pensare alla pietà mi ricorda due parti, una che è superiore e una che è inferiore.
Persino il dare del denaro ad una persona bisognosa mi evoca lo stesso sentimento, se lo faccio per pietà.

Trovo poco plausibile che questo sia casuale.

Mi piacerebbe che se aiutassi una persona, non lo facessi perchè mi fa pena o perchè ho pietà di lei.
Mi piacerebbe aiutarla perchè è un essere umano, al pari di me, con un sentimento di empatia che non nasce dalla pietà bensì dal rispetto.
Forse se la vedessi in quei termini, inconsciamente mi comporterei diversamente, forse non darei più l'impressione di giudicare gli altri quando li guardo.
Secondo i linguisti, più del 90% della nostra comunicazione giornaliera è non-verbale.
Sono convinto che la radice delle nostre emozioni possa fortemente influenzare il nostro modo di esprimerle.

Mi domando in che modo ci possa essere una opportunità di crescita su questi frangenti, da qualche parte si deve pur partire, nelle piccole cose di tutti i giorni.
Un buon inizio, per me, è stato il semplice atto di salutare queste persone, augurando loro buona giornata.

Non sembra, ma è investendo nelle piccole cose che si ottengono i sentimenti più grandi.







 


giovedì 31 ottobre 2013

Un punto di svolta

Fu due anni fa, più o meno.

A lavoro mi dissero che sarei dovuto andare in Svizzera per un po' di tempo, per apprendere quanto più possibile su alcune tipologie di macchine automatiche.

Da tempo cercavo un'apertura che mi consentisse di staccare dalle attività quotidiane per concentrarmi su qualcosa di nuovo.

Mi sono così ritrovato in Svizzera a passare un po' di tempo per conto mio, con pochi altri colleghi.

La sera era il periodo in cui passavo più tempo da solo.

E' stato durante questi momenti che mi ha preso una forte insoddisfazione, forse perchè avevo più tempo per riflettere.
Insoddisfazione principalmente orientata al mio essere una persona passiva, manipolabile.. schiva nei confronti degli altri, incapace di esprimere la propria volontà, dipendendo sempre da quello che dicevano coloro che mi stavano attorno.

Per tutta la vita mi sono dedicato solo ai miei interessi dimenticandomi di me stesso, di come gli altri mi percepivano.
Mi sono autodefinito una persona debole e senza risoluzione. (scrissi un post al riguardo di quest'ultima)

Nei libri e nelle conferenze sono nascoste tante verità.. e tante sciocchezze.
Non è raro trovarvi concetti espressi in modo molto estremizzato al solo fine di dimostrare qualcosa.
..Però da qualche parte dovevo pur partire! e poi non tutto il fumo è senza arrosto!.

Decisi che dovevo trovare quanto più materiale possibile per alimentare la mia crescita personale.
Ho preso visione di video e libri sull'argomento, ho cercato su internet qualsiasi cosa che potesse attirare la mia attenzione e creare un conflitto dentro me stesso.

Perchè cercavo un conflitto? perchè sapevo che senza mettermi in una situazione che sfidasse il mio vivere ordinario, probabilmente non avrei assorbito quanto volevo.
Cercavo informazioni pratiche, che avessero un riscontro immediato.
Più gli argomenti trattati sfidavano il mio ragionamento e più mi sentivo un bambino smarrito.

Ho sempre accettato che il mio modo di parlare fosse normale, che la mia voce fosse bella e intonata.
Ho sempre pensato che il modo in cui scrivevo fosse decente.
Ho sempre pensato che quello che dici in una conversazione è l'elemento più importante.
Ho sempre pensato che quando parlavo con una persona, tenessi realmente conto del suo punto di vista.

Questo finchè non mi sono ascoltato con un registratore.
Questo finchè non ho letto un libro di scrittura creativa.
Questo finchè non mi sono scontrato con la dura realtà nella quale il linguaggio non verbale e il modo in cui dici le cose è più importante del contenuto stesso.
Questo finchè, all'interno di un dibattito non mi sono chiesto "ok, cosa hai capito di quello che ti ha appena detto? prova a ripeterlo a parole tue.".

Eppure quando andavo in libreria ridevo di materiale come questo, ci facevo le battute, è un argomento che non ho mai preso seriamente, per qualche motivo.

Che sia solo la frustrazione e l'insoddisfazione che mi hanno portato ad interessarmi di un soggetto simile?.
Da cosa dipende l'intuizione che ci porta a metterci nei panni di persone altrui e a mettere in discussione noi stessi? Ha a che fare con quanto siamo empatici?.
Questo mondo è davvero inaffrontabile senza indossare una maschera che ci renda interessanti agli altri?.

Come cosa o dove che sia, è stato per me un punto di svolta.







lunedì 28 ottobre 2013

Top 3 scoperte personali del 2013 (Gennaio - Ottobre)

Ogni anno ognuno scopre delle cose nuove.
Approfondisce cose che già sapeva.
Mette in discussione cose che dava per scontate.

Ebbene, quest'anno anche io ho scoperto cose nuove.
Ho approfondito qualche aspetto di ciò che già sapevo.
Ho messo in discussione qualcosa che davo per scontato.

Non potendo elencare più di tanto, per motivi di estensione, mi sono limitato a scegliere le mie prime tre scoperte personali di quest'anno, le elencherò dalla meno importante alla più importante (la cosa è soggettiva ovviamente).

Ho sperimentato su me stesso ognuna di queste tre cose, ottenendo diversi benefici.

Chissà che questi piccoli accorgimenti non tornino utili anche ad altri =) .




TOP 3 PERSONAL DISCOVERIES OF 2013. (In inglese fa più figo)



N. 3: Metil Sulfonil Metano - MSM

In realtà ho scoperto questo elemento circa 5-6 anni fa (se non erro), ma ho realizzato e ho letto delle sue proprietà solo di recente.
Al tempo soffrivo di seri problemi intestinali, che mi provocavano un notevole ingrossamento delle tonsille.
Dopo aver visitato un medico omeopata, oltre che alle varie ed eventuali, mi fu prescritto questo integratore per una settimana.
In questo arco di tempo.. e con qualche correzione dietetica, intravidi enormi miglioramenti.

E' stato solo poco tempo fa che ho iniziato a studiare un pochetto gli effetti di questa strana sostanza.
Zolfo organico, Metil Sulfonil Metano (MSM), la forma biologica in cui lo zolfo è presente all'interno del nostro corpo.

La prima volta che fu scoperto lo zolfo organico, venne notato sotto un'altra forma chiamata "DMSO", forma che però dava qualche controindicazione, come odore sgradevole e saltuari episodi di irritazioni cutanee.
Si è quindi creato l'MSM, che è un derivato del DMSO.

Cari miei, questo integratore non è da prendere alla leggera, ha talmente tanto impatto sul corpo delle persone afflitte da problemi che questa descrizione non è sufficiente per enumerare il tutto.
In questa sede mi limiterò ad elencare le applicazioni più conosciute di questo elemento:

- Miglioramento di tutto il tratto digestivo. ( stomatiti, intestino irritabile o danneggiato, stipsi o diarrea, ecc. ecc.)
- Trattamento di tutti i tessuti flessibili (es. dolori cronici, artriti, sclerosi, tunnel carpale, ecc ecc.).
- Lesioni.
- Proprietà analgesiche e antinfiammatorie molto marcate.
- Dilatazione dei vasi sanguigni.
- Ripristino dei legami incrociati del collagene (cicatrici di lesioni o di ustioni, ecc.).
- Potente antiossidante.
- Potente detossificante e legante a metalli pesanti.
- Supera facilmente la barriera ematoencefalica, dando benefici in caso di malattie neurologiche.
- Ecc. Ecc.

Ulteriori informazioni sono reperibili su google, l'MSM è facilmente reperibile in farmacia, in taluni prodotti o creme.. e nei negozi di integrazione.


N. 2: Oil Pulling - OP


L'oil pulling è una pratica inusuale, ma molto potente.
Non sarei sorpreso se non ne aveste mai sentito parlare.

Si tratta di una pratica ayurvedica, praticata da migliaia di persone in tutto il mondo.

Chi pratica questa tecnica, la mattina presto, prepara un cucchiaio da cucina di olio di sesamo / girasole e lo usa come un colluttorio per una durata che va dai 15 ai 20 minuti.
Durante questo lasso di tempo, tenendo i denti chiusi, con la lingua si spinge l'olio fra i denti, senza ingerirlo mai.
Al termine di questo sciacquo, (che può essere eseguito fino a 3 volte durante il giorno a stomaco vuoto, a seconda della gravità dello stato di salute), si sputa il misto olio-saliva e ci si lava i denti.

Il contenuto batterico dell'olio sputato è molto elevato e la qualità della pulizia del cavo orale risultante è molto elevata.
Avete intenzione di ridurre le visite con il trapano? l'Oil Pulling è semplicemente fenomenale, e non si limita alla salute orale.

Un link carino: http://lastampa.it/2013/07/10/scienza/benessere/medicina-naturale/oil-pulling-lunga-vita-a-denti-e-gengive-BCwYxsyZBbAvqaWzXEk6vN/pagina.html

Studio menzionato nel link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18408265


N. 1: Vitamina C

All'inizio del post ho scritto che ho anche messo in discussione qualcosa che davo per scontato.
E' questo il caso della vitamina C.

Mi sono interessato di questo argomento durante una breve ricerca sulla vitamina C liposomale, nota per la sua elevatissima assorbibilità.
Sfogliando fonti, studi e comparazioni sono rimasto sbalordito:

In primis per l'individualità che ogni persona ha verso la vitamina C, che varia da 100 a 1000 volte (Lewin - Vitamin C - pag. 182-183) e successivamente all'immediato innalzamento della soglia di tolleranza corporea alla vitamina C in caso di malattia.

In individui sani, l'assunzione giornaliera di 4-5 grammi di vitamina C dopo i pasti (divisi in almeno 4 dosi) è generalmente ben tollerata, non comporta diarrea (sintomo principale di saturazione da vitamina C) ed è ben assorbita durante il corso della giornata.
Il motivo delle dosi frequenti è il seguente: vita media della vitamina C = 30 minuti!.

Ebbene, qui viene il bello.

In stato di malattia la tolleranza passa da questi 4-6 grammi a cifre esponenzialmente più grandi.
In caso di mononucleosi, ad esempio, la tolleranza può persino raggiungere i 200 grammi.
Questo significa che, seguendo l'esempio, durante la mononucleosi, un paziente che prende dosi tali di vitamina C non sarà soggetto a diarrea in quanto il consumo da parte del corpo di vitamina C aumenta esponenzialmente.

Questo fa riflettere.

L'uomo non produce vitamina C per conto suo, deve ingerirla dall'esterno.
Il quantitativo di vitamina C presente nei corpi degli animali che lo producono per conto proprio spazia da 5 grammi a 10 grammi di media, e aumenta nel caso di malattia.

Allo stato attuale, il dosaggio raccomandato giornaliero per via orale.. per la vitamina C si aggira ufficialmente dai 60 ai 120 mg.
Il livello di 60mg al giorno è stato deciso in quanto su tale soglia si allevia la sidrome da carenza di vit. C, non è necessariamente la quantità adeguata per una salute ottimale, cosa normalmente non nota .
[Ames Bruce et al., Proc. Nad. Acad. Sci. USA "Oxidants, antioxidants and the degenerative diseases of aging" vol. 90, sep 1993]
 
La mia esperienza con la vitamina C.

Personalmente per quanto riguarda me, ho avuto una recente esperienza.
E' stato durante l'ultima mia influenza, nella quale la mia tolleranza ha superato i 20g/24h, dividendoli in 5 dosi assunte ogni 4 ore.
La soglia esatta non la so perchè mi sono fermato a 20 grammi.. non so quanto in alto sarei potuto andare, eppure non ho avuto sintomi fastidiosi come la diarrea.
Chi mi conosce di persona sa che quando mi ammalo di influenza mi si gonfiano le tonsille e tendenzialmente sono ridotto ad uno straccio, eppure durante la supplementazione con l'acido ascorbico (vitamina C) la maggioranza dei sintomi sono rimasti soppressi ( percepiti, ma soppressi ) consentendomi lo svolgimento delle normali attività diurne.
La cosa interessante di questa esperienza? I sintomi venivano soppressi in modo proporzionale alla dose di vit. C assunta.
Se calavo molto le dosi i sintomi riaffioravano, se rialzavo il dosaggio i sintomi tornavano in stato di "contenimento".

E' certamente un argomento che vale la pena approfondire, sotto numerosi aspetti e applicazioni.

Ho trovato utili i seguenti riferimenti:

- "Guarire con la Vitamina C" di Stefano Pravato. (libro eccezionale, in lingua italiana, by macro edizioni)
- Fondazione vitamina C:  www.vitamincfoundation.org/

- Libri e articoli dei seguenti scrittori / scienziati:
Linus Pauling ( molto famoso, doppio nobel, quest'uomo era un genio. )
Thomas Levy
Hickey e Saul (Vitamin C: the real story - basic health pubblications / the science of vitamin C)
Robert Cathcart
http://orthomolecular.org/



La cosa buffa? mio zio mi ha sempre inseguito coi discorsi sulla vitamina C, per tutta la vita.. e io non gli davo mai retta.
Il mondo è davvero strano.





martedì 15 ottobre 2013

Elogio all'amicizia

I veri amici sono pochi.

Li conti sulle punte delle dita.

Sono loro che uscirebbero dal tracciato pur di aiutarti.

Gli amici dei giovani di oggi sono gli amici di facebook.
Basta troppo poco per chiamare qualcuno "amico".
Ad alcuni è sufficiente chiedere il nome al prossimo e farci due chiacchere per definirlo "amico".

A proposito delle amicizie su facebook! poco tempo fa lessi una battuta ironica:
"Si è scoperto un nuovo strumento altamente tecnologico che unisce le persone in un modo a dir poco perfetto: andare a bersi un caffè al bar e scambiarsi due chiacchere".
Per certe persone questo non potrebbe essere più vero.

L'amicizia vera non è una parola fine a sé stessa, è un set di norme comportamentali, simili all'onore ma verso gli altri, una serie di regole non scritte basate sul rispetto ( scrissi un post al riguardo, lo trovate qui ).

Mi chiedo, per quale motivo è così difficile?.
Per quale motivo alcune persone si comportano intuitivamente nei confronti dell'amicizia mentre altre no?.
Ha a che fare con l'emotività?.

E' mio pensiero che il prerequisito necessario a due persone per iniziare ad essere amiche, è l'importanza.

Mettendomi in una situazione specifica, se non dò importanza ad una persona, sarà difficile che io decida di investire il mio tempo nel conoscere meglio questa persona.

Per capire meglio cosa intendo per "investire il mio tempo" introduco un'altra variabile che fa parte del gioco: l'Apertura.
Quando due persone si aprono fra loro, spesso e volentieri si espongono, più o meno consciamente.

Che sia questo il motivo della tanta difficoltà nel fare amicizie vere? E' perchè la gente ha paura di esporsi?.




Luci e ombre, scheletri ed armadi,
il cuore e la lama che lo trafigge.
E' forse necessaria la sofferenza,
per ghermire il laccio che da sempre ci affligge?.




























venerdì 11 ottobre 2013

Il Bene e il Male

Viviamo in un mondo manipolato dal nostro passato, e dal modo in cui veniamo cresciuti.

Fin da piccoli veniamo istruiti a categorizzare, forse come forma di protezione, un modo che i nostri genitori adottano per tenerci alla larga dai guai.

E' ben risaputo il modo in cui, in passato, il concetto di bene e male sia stato manipolato per  scopi personali.
Dai Re alla religione, dai politici a coloro che ci sono vicini.

Odio, guerra, discriminazione.
 
La cosa peggiore? molte persone sono assolutamente convinte di essere dalla parte del giusto e discuterci è molto difficile.
In particolar modo le persone cresciute in un ambiente dalla mentalità molto chiusa.
Ho scelto di scriverlo in questi termini per evitare che qualcuno di voi possa sentirsi offeso, sappiate che non è assolutamente mia intenzione.

Non ci si pone mai la domanda fatidica.

 "Sto davvero facendo del bene?".
"Considerando un qualcosa come male faccio gli interessi di qualcuno?" "Interessi Economici"?
"E' una conclusione a cui sono arrivato personalmente o sono stato influenzato da qualcuno?".

Più di una volta mi è saltata agli occhi la classica categorizzazione delle cose come se fosse un bene o un male.

Non dico che non sia stata utile in qualche modo.
Essendo cresciuto seguendo la religione cattolica cristiana sono certo che in qualche modo, mettermi dei paletti e ragionare in quei termini mi abbia tenuto fuori da molti guai, soprattutto in un periodo difficile come lo è l'adolescenza.
Eppure non posso fare a meno di mettermi in discussione.
E se le cose fossero andate diversamente? Sarebbe stato meglio o peggio?.

Io penso che bene e male intesi nell'ottica moralista non esistono, esistono solo le intenzioni.

Su certi fronti cito una perla di Luttazzi: "Se non giochi al gioco non fare le regole".
Fa certamente riflettere.


 





martedì 8 ottobre 2013

La Domanda e la Risposta

Ho spesso sottovalutato l'importanza della domanda.. e della risposta.

Seguo il discorso che avevo iniziato in questa discussione: Coscienza e Chiodi .

Quando poni una domanda a qualcuno, su un qualsiasi argomento, lo fai o per iniziare la comprensione di un nuovo concetto, oppure per completare un concetto che è già formulato nella tua mente.

In entrambi i casi il livello di comprensione non è ancora completato nella sua interezza, si capisce il senso ma non completamente le implicazioni.

Questa è la mia riflessione:
Domandare non è che un modo per acquisire una o più "interpretazioni" (rif. coscienza e chiodi).

"Capire" è quando una persona ha accesso a tutti i risvolti/interpretazioni di un determinato concetto.

A volte una "interpretazione" è sufficiente per intuire tutte le altre.. e quindi capire.
Altre volte no.
La natura della interpretazione è di tipo archetipico, non si può misurare o quantificare.
Come tale non ha dimensione, non ha un inizio o una fine.
E' il senso compiuto di un'idea e ha molte sfaccettature.

Prendere coscienza di questa dettaglio è molto producente, dopotutto gli insegnanti veramente in gamba non riescono forse a illuminare la stessa cosa con una luce diversa?.

"Come?" vi chiederete voi.

Se una risposta non è sufficiente bisogna cambiare approccio e dare una risposta che fornisca ulteriori interpretazioni.. persino le parole usate, il tono e l'enfasi possono dar luogo ad una interpretazione!.

Sicuramente ci saranno individui più portati di altri su certi frangenti.
E' normale che in una classe, una parte degli studenti capisca quello che dice l'insegnante e un'altra parte non la capisca.
Il fatto è che dubito sia solo un fattore relegato all'intelligenza di una persona, oppure solo al "canale" (es. sistema VAK) utilizzato per trasmettere tale informazione, solitamente non basta una risposta sola per avere una "visione completa".

Mi domando se essere coscienti delle implicazioni delle domande e delle risposte può in qualche modo arricchire la qualità dell'insegnamento o di una banale conversazione? O persino di un aspetto ancor più profondo come il rapporto genitori e figli.









giovedì 3 ottobre 2013

L'individuo e il suo percorso

Viviamo in tanti in questo mondo, la terra è piena di individui.

Quando parlo di individui parlo anche di impronte, per quanto ogni persona sia unica è sempre influenzata da un'impronta che proviene dal suo passato e dalle sue esperienze.

Ci ritroviamo che fisicamente siamo unici, ma socialmente molti di noi sono uguali, e seguono le stesse regole, scritte e non scritte.

Io ho un modo molto semplice per definire quando una persona non agisce come un individuo:
- quando cita le sue ragioni lo fa "perchè qualcun altro ha detto che".
- Non filtra quello che dice, quello che fa, lo dice unicamente in base a qualcosa detto da altri.
- Esprime per scontate le sue opinioni, quello che dicono gli altri è sbagliato.

Dare una cosa per scontata.
Ok.
Cosa significa?.

Tutti diamo qualcosa per scontato e lo facciamo spesso, molto spesso.
In ambito lavorativo è più probabile che sia una persona che dà una cosa per scontata a farsi male.
Mentre guidiamo dare una cosa per scontata può costarci la vita.
I neo-patentati, al contrario delle credenze  hanno meno probabilità di farsi male perchè non danno MAI una cosa per scontata quando guidano.

Trasportiamo lo stesso concetto nel nostro modo di ragionare e di vedere il mondo.
Penso che sia quando diamo le cose per scontate che commettiamo gli errori più grandi della nostra vita.

Volete riaccendere la passione? iniziate con il non dare per scontato il vostro partner.
Volete avere un rapporto di lavoro migliore? non date per scontato che i vostri colleghi vi rispettino quanto li rispettate voi.
Volete vedervi delle persone migliori e più forti? Non date voi stessi per scontati.

Nel momento in cui smetterete di dare le cose per scontate potrete finalmente iniziare il vostro percorso.
Vostro Vostro Vostro Vostro Vostro!!!! Solo Vostro!! Di nessun altro!!.
Come scrissi in un post precedente "il margine di manovra per i cambiamenti si limitano a noi stessi".. e questo vale anche per il rapporto che si ha con gli altri.

Una lente a contatto per il cervello.

L'individualità di oggi non è autentica.
E' un'illusione.
Come lo sono le maschere.






sabato 28 settembre 2013

Coscienza e Chiodi

Rientro da questa breve pausa settimanale.
Bello per il sole, speravo in un po' meno di umidità.

Oggi parlerò della coscienza.

Parto con il dire che esistono varie interpretazioni della coscienza.
A seconda dell'ambito viene interpretata in modo diverso.
Non si può sovrapporre una interpretazione all'altra perchè sono tutte interpretazioni equivalenti!.

Su questo a mia volta ho imparato qualcosa di nuovo, un aspetto che avevo solo parzialmente collegato.

Persino assimilare la conoscenza può essere visto come un risvolto della coscienza, a prescindere dal concetto che si sta assimilando.
Wikipedia associa questo aspetto con la psicologia tradizionale, ero piacevolmente sorpreso leggendo.  

Rifletto su questi aspetti, assecondatemi per un momento in quello che scriverò qui sotto.
Proviamo ad associare la coscienza anche ad una applicazione esistenziale.
Un conto è capire il concetto di una equazione a scuola e un conto è applicarla nella vita quotidiana, somatizzandone i risvolti.

Da un lato la coscienza è parte integrante della conoscenza, dall'altro trovo questa visione limitata.
Ipotizziamo che un concetto, per essere essere correttamente integrato, debba in un certo senso essere tangente a tutte le interpretazioni esistenti (lista interpretazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Coscienza ) .

Prendiamo un argomento semplice, come il trattamento degli animali.
Se lo dici ad un adulto l'argomento suscita molteplici considerazioni, se lo dici ad un bambino lui ti ascolta ma non lo metabolizzerà subito.
Sicuramente sarà necessario un riscontro pratico legato alla vita reale, un'associazione al concetto di dolore o un legame affettivo con un animale che possano metterlo in relazione anche agli altri aspetti della coscienza.
Ricordo che quando ero piccolo maltrattavo le lucertole, adesso non più, anzi.
Eppure già al tempo mi dissero che non era giusto maltrattare gli animali ma lo facevo ugualmente, come tanti altri. 

La coscienza è come un chiodo fisso piantato su una parete in casa tua, un chiodo enorme.
Un bel giorno entri in casa, te ne accorgi e dici "occavolo, e questo chiodo da dove sbuca? da quanto è stato li?? come ho fatto a non vederlo??"

Vi rievoca una sensazione che avete già provato.. da qualche parte??

Esistendo tutti questi risvolti e visioni, faccio caso alle persone che mi sono vicine e mi pongo delle domande.
"Comprendere meglio la visione globale di questo soggetto, può aiutarci a comprendere meglio chi ci sta attorno?".
"Sapendo dei diversi risvolti, la percezione di ciò che ci accade e di ciò che impariamo può essere potenziata?"

martedì 17 settembre 2013

La maledizione del bravo ragazzo

Nella mia vita ho incontrato molte persone più grandi di me.
Ho intrattenuto molte conversazioni.

E' normale per un ragazzo imparare come gira il mondo da coloro che sono più grandi di lui.
E' normale che un ragazzo si interessi e faccia delle domande su come approcciare in modo corretto una ragazza.

Trovi quelle persone, come ad esempio la gran parte dei genitori / nonni, i quali ti dicono che le donne vanno "trattate come delle principesse".
Trovi quelle persone come molti amici, che ti dicono "come quella canzone dei GemBoy! trattale male! buttale giù dalle scale! più le tratterai male più ti seguiranno!".
E ancora "falle mille regali e complimentati in continuazione, prima o poi funzionerà, fai il clown, il simpatico".

 Non si sa più che pesci pigliare, ma in tutto questo trambusto credo che si tenda a dare ragione a quello che ci insegnano fin da piccoli o dalle persone che riteniamo più vicine.
"devi trattarle bene, devi rispettarle, devi trattarle come delle principesse" nella maggioranza dei casi.

Ci ho riflettuto spesso in passato, mi sono posto molte domande al riguardo.
Mi sono più volte chiesto "per quale motivo si deve sempre ragionare per estremi? Cosa comporta imporsi un modo di pensare così diverso da quelli che sono i princìpi con cui siamo cresciuti?".

Mi sono detto "Marco, prova a metterti nei panni di una ragazza e prova a capire come pensa a proposito di quello che cerca".

Fu così che, per un istante, mi sono calato in vesti non mie.

"Come ragazza, cerco un ragazzo verso cui io possa portare rispetto, non un verme che dice di si a ogni mio piccolo capriccio, una persona sicura di se stessa".
"Come ragazza non sono diversa da un ragazzo sotto certi fronti, anche io cerco una persona che non mi annoi e che riesca a tenermi accesa anche dopo il primo periodo di infatuazione".
"Come ragazza cerco una persona a cui io possa fare riferimento nei momenti difficili, una persona che abbia del polso, che mi dia sicurezza".

Se mi mettessi nei panni di una ragazza più matura aggiungerei:

"Come donna, cerco un uomo che mi possa dare stabilità e serenità" .

Se penso alle nozioni che ci insegnano da piccoli.. i film, i cartoni animati, e penso a come gira veramente il mondo mi sento come se, in passato, sia stato preso in giro dalla maggior parte delle persone.

E' vero, categorizzare è impossibile.
Le persone sono tante e sono diverse.
Non è giusto da qui partire e dire "ok, d'ora in poi dico sempre di no" oppure "falle sentire di merda così magari fai la figura del duro e ti seguono" oppure "farò il clown così le faccio ridere".
Sempre stando li a cercare il metodo perfetto o la tecnica perfetta, perdendo noi stessi in favore di ciò che non siamo.
Il risultato? forse ti trovi una ragazza, ma il prezzo da pagare è la maschera.

Se dovessi cercare un punto in comune, mi viene in mente una cosa sola: la fiducia in se stessi e la sicurezza in se stessi.
Se una persona si abbassa sotto un'altra persona diventa automaticamente un verme.

Le caratteristiche di chi spadroneggia con un verme le conosciamo tutti:
- Ne faccio uso e me ne approfitto.
- Lo uso per farmi pagare quello che voglio.
- Tanto mi dice sempre di si, non ha desideri suoi, è noioso.
- E' come tutti gli altri bravi ragazzi, non è quello che cerco.

Forse avere più rispetto per se stessi ed evitare di fare i vermi cambia il modo in cui veniamo percepiti, anche sotto questo fronte.
Penso che la cosa più bella di questo aspetto è che non devi essere ciò che non sei, niente maschere.

Mi rivolgo a tutti i "bravi ragazzi" con questo pensiero, e so quanto possa a volte essere desolante.

Non siate ciò che non siete.
Nessuno ha rispetto per una maschera.
A volte una maschera dimostra palesemente di essere tale.

Non diventerete cattivi.
Non diventerete stronzi.
Non diventerete degli egoisti.
Non diventerete meno bravi ragazzi di quanto già non siete, i princìpi rimangono sempre!.
Non sarete visti come dei vermi.

Il margine di manovra è sempre lo stesso, non potendo cambiare gli altri potete investire solo su voi stessi.

Non vi rispettano? smettetela di seguirli/le come se foste dei cani.
Dimostrate un po' di carattere, ce la potete fare.

Il carattere si dimostra anche prolungando uno sguardo quando si parla, o con un semplice "non concordo, a dire il vero io la penso così.." oppure con un "non mi va proprio stasera, dai facciamo qualcos'altro".
Non serve diventare matti per dimostrare un po' di carattere, basta poco.

Dovete essere flessibili.
Come scrisse una persona "affinchè l'uno non cresca nell'ombra dell'altro" .. poichè anche gli altri possono sbagliare.
Molte ragazze, ad esempio, idealizzano molto i rapporti che hanno, e questo va sempre tenuto in considerazione.



Mi domando se non ci sia qualche altro modo.. è anche questa tutta questione di coscienza?.









 


venerdì 13 settembre 2013

cupole e monumenti all'integrità personale

Ci sono molte cupole al mondo.
Alcune sono belle, altre fanno schifo.

Pensando alle cupole che fanno schifo ho riflettuto su quante di queste vediamo attorno a noi, ne troviamo di tutti i tipi, forme ed espressioni.
Di queste la più rinomata è la cupola genitori-figli.

L'aspetto artistico di questa particolare cupola è rappresentata dal sabotaggio volontario del carattere, della personalità e delle reazioni di un bambino a quello che gli sta attorno.
Nello specifico, il sabotaggio trova eccelsa espressione nel tentativo di distruggere il senso critico del bambino, dai rapporti interpersonali alle vicissitudini quotidiane.

Questa forzatura, dettata dalla visione possessiva nei confronti del bambino, fa si che la concezione di neo-individuo venga sostituita da una concezione di neo-clone.

In un libro di kahlil gibran, l'autore scrive "I vostri figli non sono vostri, sono figli della fame che la vita ha di se stessa. I vostri figli non nascono da voi ma attraverso di voi".

Genitori che vanno in paranoia se i propri figli escono senza cellulare, trasmissione di sindromi come l'ipocondria, iperprotettivismo.
Bambini che diventano dei bambocci privi di senso critico.

WOW.

Genitori miei vi dirò la mia.
Lasciate che i vostri figli sbaglino e non criticateli per averlo fatto.
Date loro l'opportunità di imparare dai loro errori, stimolateli in tale senso.
Il mondo è crudele.
Se non saranno pronti per tempo e non avranno coltivato energie sufficienti per evolvere le proprie capacità, di loro non resterà nulla.
Dovete portare loro verso il mondo e non l'opposto!.

E' vero.
La legge della selezione naturale non esiste nei termini che associate agli animali.
Non usiamo i denti e non mangiamo i nostri simili.
La selezione naturale della nostra società è dettata dal capitalismo, poichè anche la società capitalista vanta di un sistema di selezione tutto suo.

La selezione del sistema capitalista non perdona, è spietata.
Siate pronti e prendetene atto, se siete ancora in tempo.






lunedì 9 settembre 2013

Il Doppelgänger

E' Lunedì.
Giorno alquanto particolare.
Le lancette degli orologi passano sulle ore più frequentemente rispetto agli altri giorni.

Ah già, è vero.. la mia riflessione di oggi.

Sono convinto che la maggior parte delle persone sia ammanettata da se stessa, e non per colpa loro.

Ricordo che quando ero piccolo e andavo a scuola, prendevo qualunque pretesto per non stare attento. Ero sempre distratto.. non facevo i compiti e i giorni successivi copiavo per mantenere una media che fosse "sufficiente" per tirare avanti.

Il motivo che mi veniva dato per studiare e imparare le cose era "non capisci, è importante!".
Andavo a scuola a studiare delle cose per cui non vedevo l'utilità, ragionavo in termini molto pratici.
Ora che ci penso.. cosa intendevo per "pratici"?? mi rendo conto che me ne lamentavo ma erano parole vuote come una scusante inventata sul momento.

Ora la penso in modo diverso, ma cosa è cambiato in me per pensarla così?.

"Deve piacerti quello che studi per andare bene, devi fartelo piacere" mi dicevano.

Ma era solo quello che faceva la differenza?.
Oppure è cambiato qualcosa di diverso?.

Ricordate il mio elogio dell'errore?
Se non l'avete letto potete trovarlo qui: link 

Penso che uno degli effetti collaterali del modello attuale, che ho criticato in quel post, sia una auto-attribuzione ridotta di quelle che sono le potenzialità dell'individuo.
Mi riferisco all'immagine che si ha di se', a quello che noi "crediamo" di essere capaci di fare.

Il mio presentimento è il seguente, proverò a scriverlo qui, anche se temo di non riuscire ad esprimermi come vorrei.

La vediamo come una cosa meccanica.
Ci chiedono di fare una cosa e noi la facciamo, c'è da prendere un buon voto? noi lo prendiamo, non importa come, in qualche modo ci arrangiamo e lo prendiamo.
In tutto questo non guardiamo a noi stessi, guardiamo agli altri per soddisfarli.
Il risultato? una volta raggiunto un obbiettivo ci fermiamo li.
Non ci importa di andare oltre e di esplorare ulteriori possibilità.. è come se ragionando per obbiettivi ci imponessimo inconsciamente uno schema mentale che funge letteralmente come delle catene ai polsi.

La prima volta che ho avuto la percezione di queste manette è stato quando è morto mio zio.
Quando è morto mio zio è come se il cielo della realtà in cui vivevo si fosse incrinato, mostrando qualcos'altro dietro.

Questa batosta, combinata con questo concetto,  che avevo appena compreso, mi ha in qualche modo tolto i sigilli menzionati sopra.
Non so come.

Di colpo mi sono sentito attirato verso qualcosa che non capivo.
Mi sono reso conto che quando leggevo qualcosa la capivo molto più facilmente, se c'era un argomento che mi stimolava lo approfondivo subito, quando facevo le cose mi sentivo molto più focalizzato e ricordavo molte più cose a mente.

Per questo motivo penso che in molti abbiamo delle manette.
E' come se limitassimo le nostre potenzialità mentali e fisiche.
Come se fossimo prigionieri di quello che noi crediamo di poter fare.

Mi domando:
C'è un modo per facilitare questa rimozione?.
Quanto esattamente siamo limitati? E' quantificabile?.
Porsi la domanda e riflettere può in qualche modo velocizzare la cosa?.

Viaggio mentale o implicazioni reali?
Che il famoso "Doppelgänger" sia in realtà il nostro vero io?.
















giovedì 5 settembre 2013

Pugnalate e armi non convenzionali

Ragiono di nuovo sul rispetto, questa volta in una forma più specifica.

Ho sempre pensato, sin da quando ero piccolo, che all'interno di un gruppo di persone che si conoscono vigesse una regola non scritta.
Questa fantomatica regola impediva ai membri di tale gruppo di "pugnalarsi" a vicenda.

Per pugnalarsi intendo il parlare dietro alle persone quando il diretto interessato non è presente.

E' facile.
E' sempre troppo facile.
Capita spesso.

Perdendomi in queste cose ieri sera mi sono chiesto "esiste un limite entro il quale si distingue una chiacchera da una pugnalata? è un limite dettato solo dal buon senso o può essere in qualche modo regolato da delle norme comportamentali?"

E ancora:
"Se una persona si rendesse conto di tutti i risvolti che implica una forma di rispetto, continuerebbe ugualmente a parlare dietro agli altri?".

Alla fine dei giochi mi rendo conto che è un brutto circolo vizioso.
Mi spiego meglio.
Se senti un tuo amico che sparla di un'altra persona che conosci, la regola non scritta automaticamente cessa di esistere.
In altre parole non puoi più dare per scontato che non facciano lo stesso con te.

E' molto triste.

Prendo questo post anche come riflessione su me stesso, per non commettere gli stessi errori.
Se voglio ricevere rispetto devo anche dimostrarlo.

Il mondo sarebbe un posto migliore se la gente si facesse di più i fatti propri.
Chissà.. forse certe amicizie non verrebbero meno così facilmente.







martedì 3 settembre 2013

Usare l'efficienza per i nostri scopi


C'e poco da fare.

Piu andiamo avanti con gli anni e piu pensiamo che non riusciremo ad aquisire nuove competenze e conoscenze.

"Cose da giovani!" ci dicono, se proponiamo loro di imparare qualcosa di nuovo.

Cari anziani, non dovete darvi per vinti.
Non dovete arrendervi.
L'efficienza vi viene in aiuto.

Dovete sapere una cosa al riguardo della fase iniziale in cui imparate una cosa nuova.
La fase in cui siete completamente incapaci.. dove partite da zero.
Questa fase iniziale è caratterizzata da un periodo di adattamento estremamente rapido, al punto che potreste diventare autosufficienti in tempi che arrivano anche a 20 ore.. con soli 15 minuti al giorno costanti.
Se lo volete mettere su un grafico, la linea sarebbe quasi verticale.
Forse ci vorrà un poco più di tempo ma il risultato non cambierà, la natura del cervello è adattogena, a prescindere dall'età.
La neuroplasticità ci insegna proprio questo.

Altra cosa che dovete sapere: dovete credere di esserne capaci.
Quello che pensate delle vostre capacità ha un impatto fortissimo su quello che fate o non riuscite a fare.
Se voi credete di non esserne capaci, è probabile che fallirete in quanto vi autolimiterete fin dall'inizio.

Mi rivolgo ora ai giovani.
Siete individui che dispongono di un organismo altamente adattogeno, il discorso delle 20+ ore vale anche per voi, in misura molto maggiore.
Quando avrete 25+ anni non vi ricorderete la matematica avanzata che vi hanno insegnato a scuola.
Dovete focalizzarvi sui vostri obbiettivi, dovete in altre parole specializzarvi, perchè è questa la natura del vostro corpo, quello che non usa viene scartato.
Questo ci insegna la Neuroplasticità, di nuovo.

Credo molto nel risollevamento degli anziani.. credo molto in loro e nutro speranza verso la natura dei nostri corpi, dobbiamo solo dare loro la possibilità di mettersi in gioco.

mercoledì 28 agosto 2013

specchi e immagini

Esistono molti specchi e molte immagini.
Il nostro modo di vivere e di fare esperienza degli eventi è molto variabile e nel nostro navigare in questo mare di informazioni ogni tanto capita che ci perdiamo, trascinati dalla corrente.

In quello che facciamo esiste uno stato mentale molto particolare.
Da tutti viene riconosciuto come "la zona" o "the zone".

Questo non è uno stato in cui si può entrare volontariamente, seppure dopo molta pratica, l'accesso possa essere in un qualche modo facilitato.

Tutti gli atleti di alto livello e tutte le persone di successo hanno una cosa in comune: si vedono grandi, si vedono capaci di cose incredibili.

Se ci penso in effetti mi domando "come posso fare qualcosa di grande se in primis non penso di essere una persona capace di farlo?".

Ne ho sentito tante di spiegazioni sulla zona.
Ne ho sentite tante di opinioni in merito.

Io penso questo al riguardo: "la zona è la sincronizzazione massima presente nel momento in cui l'immagine inconscia di sè in un determinato momento raggiunge il suo massimo, al punto che prende parzialmente il controllo".

Chi entra in questo stato esegue qualsiasi lavoro, studio o movimento con una naturalezza incredibile, vi sarà capitato sicuramente di avere una lucidità mentale incredibile, quasi "automatica".. e senza il minimo sforzo.

Le immagini mentali non sono fini a se stesse, hanno un impatto in quello che facciamo.
Basti pensare, ad esempio, all'effetto fisico che provoca in noi l'immaginare di mangiare una buccia di limone, di masticarla e di succhiarla.
Vi si sono attivate le ghiandole salivari giusto?.

Il corpo non fa differenza fra immagini mentali ed evento reale, questo aspetto è molto interessante.
Studi sull'aumento/mantenimento dell'efficienza in soggetti non allenati confermano questa ipotesi.

Fino a che punto le immagini mentali possono condizionarci in quello che facciamo?  Quali sono le probabilità che questo condizionamento influisca sulla nostra capacità di giudizio?. 
Cambiando l'immagine che abbiamo di noi stessi in modo razionale e coscio può in qualche modo facilitare l'accesso alla zona?.






domenica 25 agosto 2013

Spettatori e biglietti da visita

A volte quando meno te lo aspetti capitano delle cose che ti lasciano il segno.

Ieri mentre aspettavo l'autobus nel centro di bologna, sento delle grida provenire da dietro di me.
Girandomi vedo un ragazzo di colore che sta bloccando un ragazzo biondo, erano entrambi riversi a terra.

Il ragazzo di colore grida "chiamate i carabinieri, chiamate il 112!!".

Mi ritrovo ad avvicinarmi alla scena con il cellulare già in mano, dall'altra parte della linea c'erano i carabinieri.
Alla fine del conteso, il ragazzo biondo, vedendosi con le spalle al muro decide di consegnare tutto ciò che ha rubato.
Il ragazzo di colore, mosso a compassione dalle suppliche del ladro, decide di lasciarlo andare prima dell'arrivo dei carabinieri.

Una cosa mi ha stupito...anzi, forse "stupito" non è il termine giusto.

Quando il ragazzo di colore ha cominciato ad urlare "al ladro", tutte le persone presenti hanno avuto delle reazioni diverse fra loro.
Alcune si sono allontanate, altre sono rimaste completamente bloccate dall'emergenza e non hanno mosso un dito.
Erano completamente de-responsabilizzate nei confronti dell'accaduto.

Ad essere accorsi eravamo solo io e una coppia di ragazzi giovani di Bari.

Si chiama "effetto spettatore" o "bystander effect".
E' un fenomeno sociale poco conosciuto da molti e ignorato da altrettanti.

Per chi non sapesse di cosa parlo, guardatevi questo breve video:
http://www.youtube.com/watch?v=gRXdluaYejg

La mia domanda oggi è la seguente.. e parte da una affermazione:
"Il male comune unisce le persone".

Evitare l'effetto spettatore può in un qualche modo accrescere l'empatia fra le persone, rendendole più "umane" fra loro?.
Da parte nostra, conoscere l'effetto spettatore può aiutarci ad evitarlo?.

Quei ragazzi di Bari erano proprio simpatici.
E' in queste situazioni che scopri le persone che a livello umano valgono.
Persone che sanno ragionare con la loro testa.

Peccato, non avevo con me dei biglietti da visita, rimedierò.






giovedì 22 agosto 2013

il cibo e il pozzo

Penso che il cibo sia molto sottovalutato.
Non in quanto cibo fine a se stesso, ma in quanto linguaggio di comunicazione verso il nostro corpo.

Questo per me è buon senso: Dal momento che lo introduco nel mio corpo, il concetto di "cibo" assume un valore immane, al punto da considerarlo il primo fattore capace di donare uno stato idealizzato come "buona salute".

Non ci vuole una laurea in scienze dell'alimentazione per sviluppare un po' di senso critico.
Se un veleno mortale entra nel corpo probabilmente morirai, è così difficile concepire l'opposto? ossia che un cibo possa migliorare le tue condizioni di vita?.

Non voglio entrare troppo nel merito.
Di quello ne ho già parlato in questo post .
Cercherò di sfiorare l'argomento da un'altra angolazione.

Se penso alla società in termini di salute generale, mi sorgono due fattori importanti.

Il primo è il seguente.
Il problema di molti dei medici di oggi non è la mancanza di conoscenza e non è nemmeno il non desiderare la salute dei loro clienti.
Penso che il problema sia il loro ostinarsi nel rimanere nel tunnel in cui hanno studiato.

Prendiamo un dentista: durante una seduta di igiene ti è mai stato chiesto cosa mangi tranne che per gli zuccheri?.
Per fortuna esistono ancora alcuni medici che sanno usare il loro buon senso e non sono dei semplici robottini che si buttano nel pozzo con tutti i pazienti al seguito.



Il secondo fattore siamo noi.
Molti di noi affidano la propria salute in mani altrui, senza mai mettere in discussione le altrui decisioni.
Le prendiamo, in un certo senso, come verità assolute.


Sempre più spesso sentiamo dire dalle persone "questo problema è genetico, non si può fare nulla".
Io penso che questo modo di ragionare non sia sbagliato, ma non è completo.
Penso che sia giusto non fermarsi sugli allori, alla luce di nuove concezioni, come ad esempio l'epigenetica .

Trovo che dobbiamo armarci di pazienza.
E' giusto che leggiamo un po' di più le informazioni a nostra disposizione, soprattutto quelle che riguardano le alternative al modo comune di pensare.
Dobbiamo vedere le indicazioni altrui come dei suggerimenti di un lato della medaglia, non come unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Abbiamo una grossa responsabilità verso noi stessi e dobbiamo portarla a compimento se non vogliamo essere sempre in balia del vento.










mercoledì 21 agosto 2013

L'arte di non prendere le cose sul personale

Come da titolo, considero il non prendere le cose sul personale una vera e propria arte.
Arte questa che rientra nel viversi bene la vita.

Mi capita spesso di pensarci.

Prendere le cose sul personale è una di quelle cose che ormai ci viene quasi spontaneo fare.

Mi domando se questo nostro atteggiamento sia frutto della fretta che questa società ci impone.
Bere il caffè richiede molto meno tempo del bere il tè, non esiste parallelismo migliore per descrivere la nostra società.
La società del caffè! la società della fretta! anche nel giudicare.

Purtroppo non ci concediamo mai il beneficio del dubbio, abbiamo sempre questa carta a portata di mano ma non la usiamo mai.
Per quale motivo?

E se la ragione dell'irritazione del nostro interlocutore non fossimo noi?.

Se fossimo noi a interpretare male il messaggio che viene dall'altra persona?.

Di problemi ne abbiamo fin troppi.
Come se non bastasse ce ne creiamo altri da soli.

Altra cosa interessante su cui vale la pena riflettere: prendere sul personale i complimenti.

Un complimento non ti da alcun valore aggiunto, non ti rende una persona migliore no?.
Anzi!!.
Dare troppa importanza ad un complimento ci espone nei confronti di colui che ce li ha fatti.
Le persone non sono sempre buone.

Questo discorso vale soprattutto per le persone insicure, oppure quelle che vogliono in qualche modo manipolarci.

Termino questa breve riflessione incollando la definizione di buon senso, fattore che sempre più spesso cessa di esistere nelle nostre considerazioni quotidiane.

Definizione di wikipedia:
"Il buon senso è la capacità di giudicare con equilibrio e ragionevolezza una situazione, comprendendo le necessità pratiche che essa comporta."



martedì 20 agosto 2013

La paura e la risoluzione

La paura è reale, tutti abbiamo paura, ne abbiamo sempre, per i motivi più disparati.

La mia domanda in questo caso è la seguente:
La paura ci trattiene dall'usare le nostre potenzialità al 100% ?.

Ogni volta che dobbiamo portare a termine un compito abbiamo paura che non andrà a buon fine.
Ogni volta che dobbiamo essere valutati abbiamo paura che non andrà a buon fine.

Quante volte non siamo andati bene per colpa della tensione momentanea e guardiamo a quel ricordo con amarezza? .
Quasi fosse un rimpianto.

La paura nasce dal nostro subconscio, abbiamo paura del giudizio altrui, vediamo sempre tutto in un'ottica legata alla paura di qualcosa, sia essa di fallire, di soddisfare, di performare.

Cosa succederebbe se d'improvviso noi riuscissimo a togliere questo filtro e a cambiare ottica? in fin dei conti la paura non serve.
Non è utile.
Ci frena continuamente, è una palla al piede.

Certo, questo non significa che togliere quel filtro significhi avere successo in qualsiasi cosa, ma quantomeno se abbiamo del potenziale ci consente di liberarlo e di mostrare quello di cui siamo veramente capaci.

Rifletto su questo: La paura è una cosa istintiva, quando ci imbattiamo in qualcosa che non conosciamo e che potenzialmente può farci del male, istintivamente abbiamo paura.
PANICO.

Quello a cui mi riferisco io non è quello: è la paura acquisita dalla nostra società e dai suoi costumi.
Se abbiamo acquisito questo timore è anche possibile camuffarlo o cancellarlo?
Qual'è il modo migliore per farlo? dobbiamo forse agire sulle nostre aspettative o sulla nostra risoluzione?.

Non fallirò, lo poterò a termine.
Andrò bene, non ce ne sarà per nessuno.
Non passerà.
Non esiste che io possa perdere.


Penso che cercare di convincere se stessi non significa professare una risoluzione, senza contare che la paura non solo rimane ma addirittura l'ansia cresce!!. (ad esempio l'esame di scuola guida)

Proviamo un altro approccio: Proviamo a vedere la risoluzione come l'adottare una chiave di lettura diversa.
Una chiave che anzichè sfruttare la paura (ho paura di fallire ma ce la devo fare) adotta una certezza di riuscita (non fallirò.)


E' un po' come quando hai un vizio o una dipendenza e cerchi di fronteggiarle usando solo la forza di volontà.
INUTILE.   :-)


lunedì 19 agosto 2013

Elogio al rispetto

Sono convinto che il rispetto sia la base su cui poggia una società, un elemento senza il quale non è assolutamente possibile alcun tipo di convivenza.

La parola rispetto ha un'estensione enorme.
Tutto quello che rientra nel tener conto dei diritti e dei desideri del prossimo, verso lui stesso e sui suoi averi.
Rientra perfettamente nella cerchia del rispetto.

La forma più grande di rispetto la si trova in Giappone, ove questa usanza viene elevata nei suoi più minuti dettagli.
A tal proposito, se avete un po' di tempo libero vi consiglio di dare un occhio a questo blog che ho cominciato a leggere da poco, non è più aggiornato ma è molto simpatico: I giapponesi e il rispetto .
I giapponesi, seppure a volte in modo esagerato/estremizzato lo dimostrano molto bene.

Perchè scrivo a proposito del rispetto? perchè tutti noi ci dimentichiamo di quanto sia importante, avere il massimo rispetto nei confronti del prossimo.
Non mi tiro fuori dalla critica, quello che scrivo vale anche per me.

Anche il semplice fatto di farsi i fatti propri, di non parlare dietro ad altri in loro assenza, di mantenere una promessa e di essere fedeli.. sono una forma di rispetto.
Altri esempi possono essere il chiedere prima di usare le cose di un altro, di non dare le proprie decisioni per scontate verso gli altri uscendosene all'ultimo momento con una frase in stile "ah, ma io pensavo che".
Non sempre lo si fa apposta, a volte capita di comportarsi così per semplice abitudine e non ci si rende conto che, così facendo, si può fare un torto ad altri.

Il rispetto è una di quelle cose fondamentali che ci rende uomini e non animali, con tutto il rispetto per questi ultimi.

Ritengo che diventare abili nel portare rispetto, anche verso chi non ci è amico, sia la chiave per vivere in modo sereno.
Chi è veramente vostro amico vi rispetta a 360 gradi, i veri amici si riconoscono anche in base a queste cose, poichè per i veri amici da rispetto nasce rispetto.







venerdì 9 agosto 2013

corpo umano e navicelle spaziali

Il mondo in cui viviamo è una vita dura, e questo lo sappiamo in tanti.

Con l'aumento della popolazione, il calo dei posti di lavoro e con l'inflazione scolastica, la qualità della vita è diventata un soggetto conteso da molti.
Non ai livelli dell'est asiatico ma sufficientemente da perdere la nostra serenità.

Al giorno d'oggi sopravvivere ha dei requisiti più alti che in passato.

E' un discorso vasto e non voglio entrarvici in termini politici o utopici, mi limiterò a servirmene per esprimere quello che penso.

E' sconcertante.

Mi immagino che la società in cui viviamo sia un grosso universo, molto complesso e ricco di intoppi.
In questo universo, prendiamo i problemi e vediamoli come degli asteroidi.
Inseriamo anche l'essere umano, vediamolo come una navicella, molto complessa.

Come è bene immaginare, sarebbe bello che la navicella solchi questo grande universo senza incorrere in collisioni e mantenendo una velocità efficiente, tenendo in considerazione l'usura della navicella (l'età).

Affinchè ciò abbia luogo è necessario che questa navicella venga fornita di tutti gli elementi necessari.
Non tanto per evitare gli asteroidi, ma per resistere efficacemente agli impatti e per conservare tutti i sistemi di controllo.

Esprimerò qui di seguito i due noccioli di questo pensiero/analogia: 

Primo nocciolo
Penso che molte persone dimentichino questa analogia e la diano per scontata.
Non realizzano che se non ci sono le condizioni necessarie la loro navicella (corpo) non può performare al 100%.
Non entro solo in termini legati al movimento o grasso corporeo, ma anche in termini mentali e mnemonici.

Sento spesso dire: "Si vive soltanto una volta no?".

Penso che questa venga presa come una scusa verso se stessi, si usa troppo spesso, per tutto.
Penso che venga spesso usata per fare quello che si vuole, incuranti del proprio corpo.
Attenzione però, non mi riferisco agli eccessi occasionali ma al disinteresse totale di alcune persone verso il proprio rendimento.


Secondo nocciolo
Le persone preferiscono ragionare in termini semplici, sanno che il problema sono gli asteroidi? cercano di cancellare gli asteroidi.
Siamo circondati di batteri, cosa facciamo? li cancelliamo, li teniamo lontani da noi.

Trovo che questo sia un ragionamento che ha una falla, poichè cosa succederà quando finalmente ci beccheremo uno di questi batteri che temiamo tanto? sarà un disastro.
Gli esseri umani sono nati per adattarsi, anche il sistema immunitario segue la stessa logica.
Ci sono poche minacce? anche il sistema immunitario non è efficiente.

La selezione naturale è chiara in mierito a chi è più forte e a chi è più debole.


Alla fine il discorso è sempre lo stesso: il cervello ci tiene per le palle, è bene esserne coscienti e reagire. 
Siamo quello che facciamo e performiamo da quello che mangiamo.
"Mangiare" non significa nutrirsi.

..Del resto il dibattito verso la teoria pleomorfica rimane aperto. 


  

martedì 6 agosto 2013

La vita come un campo di efficienza

La Romania!.
Un viaggio davvero interessante.
Un paese le cui montagne mi hanno dato molto a cui pensare, motivo per cui non ho postato in questi giorni. 

Non sapevo quale nome poter dare alla logica che ho in mente in questo momento.
Non sapendo se esiste già qualcosa di simile, mi invento un bel nomignolo.. e lo chiamo "campo di efficienza".

Cercherò di esprimermi dal principio, ponendomi delle domande.

Per quale motivo siamo così "naturalmente" riluttanti nell'imparare qualcosa di nuovo, man mano che progrediamo con gli anni?.
Per quale motivo si richiede così tanto tempo per sentirsi a proprio agio con una persona appena conosciuta?.

Provo a ribaltare il discorso in termini di efficienza, in modo molto grezzo.. vediamo cosa salta fuori.
Quanto più si ha efficienza in un determinato rapporto, lavoro o situazione, più si riesce a viverle, integrandole nel nostro mondo.

Ecco! forse il paragone più vicino per poter collegare il concetto di campo di efficienza è proprio il termine "nostro mondo"!.

Quando una persona entra in un campo a bassa efficienza, si trova naturalmente a disagio.. sempre sul chi va la.
Un campo a bassa efficienza è facilmente identificabile: è caratterizzato da una soglia di attenzione maggiore, dalla tendenza di non dare per scontato ciò che sta accadendo in quel momento.. e da un evidente stato di disagio che sembra avere una netta prevalenza inconscia, uno stato di tensione.

Quando una persona entra in un campo ad alta efficienza si trova a proprio agio, quasi come se stesse in quel campo da una vita intera e fosse in un certo senso entrato in simbiosi con quel campo.
Un campo ad alta efficienza è caratterizzato dalla disattenzione, dalla tendenza al dare per scontato,  da una capacità comunicativa più efficiente.. e di conseguenza più recepibile.
Uno stato di maggiore sicurezza e di minor tensione, in un certo senso.. a livello inconscio.
Per ultimo, la svogliatezza nel lasciare questo campo ad alta efficienza.

Bizzarro.

Eppure la mia riflessione svincola anche su un altro fronte, e quindi in un'altra domanda:
E se i sintomi fisici possano essere influenzati da un campo di efficienza?.

Quando si parla di sintomi fisici si tende a pensare in grande, alle malattie, alla degenerazione.
Non mi riferisco a quello.
Il mio è un pensiero più generico, ho semplicemente pensato che l'essere in un campo a bassa efficienza possa avere anche dei risvolti "fisici".

Prendiamo il viaggiare in un altro paese... o l'andare a dormire per qualche giorno in un posto in cui non si è mai stati.
I sintomi fisici sono frequenti fra i viaggiatori, e spesso e volentieri si tende ad associare tutto ciò al banale "fuso orario".
E lo stress? potrebbe essere il sintomo per eccellenza di un campo a bassa efficienza?.

E' alquanto curioso come questi parallelismi trovano un confronto costante con le nostre attività quotidiane.. davvero bizzarro.. eppure ho come una sensazione strana nel fare questa comparazione.





giovedì 25 luglio 2013

Modelli e maschere

Guardando la televisione rimango basito sul modello che viene mostrato ai nostri figli.

Concordo, è necessario dare un modello ad un bambino, un modello sociale che gli permette di interfacciarsi con il mondo e di integrarvisi senza subire impatti psicologici.

Dare un modello ad un bambino che è interamente basato sul giusto e sullo sbagliato?... mmm.
Wow, davvero.

Un modello deve essere rappresentato da una trasposizione con la realtà, un modello del genere cosa opera nella mente di un bambino? lo educa su come gira il mondo o gli chiude la mente?.
Un bambino non si fa molte domande, un bambino assorbe come una spugna.. da' per scontato che tutto quello che vede e fa sia "giusto".

Mi domando se insegnare ad un bambino in chiave di "giusto o sbagliato" sia una cosa corretta..lo trovo un approccio molto moralista.

Proviamo a vedere la cosa su un aspetto un po' più pratico, prendiamo l'atto del rubare.
Per un bambino che guarda i programmi televisivi o che riceve un' educazione moralista il ladro è visto come una persona "cattiva".
Certo, fa una cosa che non deve fare, ma questo lo rende una persona "cattiva".. al di la del motivo.

..Guidicare, il mettersi ad un livello superiore rispetto a qualcun altro.

E' come se mancassero le sfaccettature, il chiedersi perchè qualcuno fa una determinata cosa.

Seppure non sia giusto comportarsi così, non mi permetterei mai di giudicare un padre di famiglia che ruba perchè non arriva alla fine del mese.
Eppure questo lato delle cose non è mai mostrato ai bambini, li si vuole sempre tenere dentro la loro bella campana di vetro in un bel mondo di fiabe e favole.. dalla quale gli individui escono interfacciandosi con il prossimo con un'ottica idealizzata.
Il lavoro ideale, il partner ideale, la vita ideale, ecc ecc.

Mi sorge un interrogativo.

Cosa succede quando questi individui escono da queste belle cupole e si interfacciano con il mondo?. Soffrono.
Soffrono come dei matti.
Realizzano che per tutta l'infanzia sono stati presi in giro da una visione distorta del mondo.
Forse alcuni realizzano che alcuni traumi possono essere legati anche a questo.

Come si tende a reagire ad un trauma emotivo? in vari modi, fra cui l'indifferenza.

E se i modelli, in tutto il loro buon intento, finissero per condizionare la nostra mente inducendoci a ragionare solo ed esclusivamente per schemi mentali?.

Ancora tunnels e strumenti di controllo delle persone e del loro pensiero.

E' triste, perchè con queste persone si è quasi sempre obbligati a indossare una maschera.
Si ha sempre la sensazione di non parlare ad un individuo ma ad uno schema di comportamento.

Bene e male sono da sempre stati usati per proprio comodo.




mercoledì 24 luglio 2013

Luci e ombre: L'oggettività

Tempo addietro sono incappato in una citazione che mi ha colpito:
"essere oggettivi significa guardare le cose che succedono come sono e non come dovrebbero essere".

Negli ultimi anni, sempre più consciamente, ho collegato il concetto di oggettività al concetto di "perfezione".
Volendolo o meno mi sono trovato sempre più spesso a cercare di valutare le cose che mi accadono con un'ottica tendente sempre più all'oggettività e sempre meno al giudizio e alla moralità.

Questo è molto bello perchè consente di estraniarsi dal giudizio verso gli altri.
Ti permette di vedere tutti gli eventi considerati terribili come semplici "possibilità" e consente di interagire con gli altri su un livello di apertura mentale assolutamente incomparabile.

Non è tutto però.
Più una faccia della medaglia è grande e più è grande la faccia opposta: Più si è distaccati e più si deve indossare delle maschere per compiacere chi ci sta attorno.

Wow! E ora? sono costretto a realizzare che l'oggettività perfetta è l'esatto opposto dell'emotività.. e del legame emotivo.

E' davvero possibile godersi la vita così?
Una vita vissuta in questo modo è davvero "vissuta"?
Non sono forse le forti emozioni che ci fanno sentire vivi?. 

Essere completamente oggettivi non è possibile, come non è possibile essere completamente emotivi, seppure esistano casi da ambo le parti in cui ci si avvicina molto agli estremi.
Stiamo tutti in qualche punto in mezzo, sballottati da una parte e dall'altra.. nell'imprevedibilità delle reazioni.

sabato 20 luglio 2013

Elogio dell'errore

Nel giorno d'oggi l'errore viene demonizzato, a scuola com a lavoro.

Nelle scuole dell'obbligo il fine degli studenti non è quello di imparare.
Il fine degli studenti in questi sventurati ambienti è quello di sapere quello che permette loro di avere un buon voto, il fine è prendere un buon voto.

E se questo contribuisse all'enorme tempo necessario per capire veramente cosa ci interessa fare nella vita?
E se cambiando le cose questo grosso lasso di tempo fosse minore?.
Se fossimo più soddisfatti come studenti nel fare ciò?.

Come poter fare dunque?


Bella domanda, proprio una bella domanda.


Qualche idea in mente ce l'ho, vediamo se riesco a metterla su "carta":

1) Nei corsi universitari online di "Coursera" gli studenti correggono i compiti dei compagni. 

L'insegnante è solo un moderatore e risolve i dubbi nel processo.
In questo caso mettere due studenti nello stesso banco è utile.

2) Usare dei libri con dei capitoli non è conveniente.. gli argomenti devono partire da una domanda e dalla conversazione.

Al "come" ci si deve arrivare gradualmente, non deve essere un processo in stile "si fa così" e basta.
Lo scopo dell'insegnante non è quello di fare andare bene gli allievi nei compiti in classe in base a quello che è scritto nei testi scolastici.
Sono del pensiero che l'esistenza stessa delle "valutazioni" intese come voti sia molto sopravvalutata e induca una trasformazione degli studenti in pappagalli, se usate nel modo in cui si usano ora.
Sbagliare è la cosa migliore che possa capitare ad uno studente e l'insegnante deve valorizzare questi eventi e non reprimerli!!.

Mi chiedo.. se l'insegnante si limitasse a porre delle domande e ad aprire una discussione o dibattito non sarebbe più coinvolgente?.
In fin dei conti ragionare solo nei termini dettati da un libro e sapere a memoria una cosa letta su un libro.. e andare quindi bene in un compito.. beh non significa capirla.

Capirla significa intenderne le ramificazioni, significa che se si discute di una cosa analoga realizzi che puoi prendere quel concetto e metterlo in mezzo a quello che si sta dicendo per arricchirlo.

3) Con la crisi di oggi i giovani escono dalla scuola dell'obbligo in braghe di tela.

Bisogna dare delle responsabilità ai giovani, devono imparare ad autogestirsi sin dalle scuole medie, proprio come avviene nelle università.
Bisogna fare di tutti per avvertirli che ci sono molti studenti laureati che non trovano lavoro e l'unico modo è crescere continuamente e non fermarsi mai, è una sfida vera e propria.
La competizione sta aumentando proprio come nei paesi dell'est, dobbiamo essere pronti e non farci trovare impreparati.


4) Certuni insegnanti si fanno odiare dai propri studenti.. sarebbe anche ora che le cose cambiassero un pochetto.
Dare un'idea nuova e fare ragionare in modo differente uno studente può aprirgli nuovi orizzonti, ho perso il conto di quanti insegnanti hanno i loro pupilli preferiti e si arrendono nei confronti di coloro che sbagliano.

Lo ritengo un evento gravissimo.



   






giovedì 18 luglio 2013

Tunnels e Burattini

Non posso fare a meno di pensare a quanto sia facile essere manipolati al giorno d'oggi, da tutto.. da tutti.

E' talmente facile che non solo non ce ne rendiamo conto, ma manipoliamo gli altri nello stesso modo in cui gli altri manipolano noi.

Non penso sia questione di essere stupidi o intelligenti, spesso e volentieri lo facciamo in modo subdolo, ad esempio esprimendo una opinione e aspettandosi che gli altri ne tengano conto.

Mi è capitato di farlo proprio l'altro giorno.

Io penso questo: Interferire attivamente con la coscienza di una persona cambiandone la direzione in qualche modo, è una delle cose più gravi che potrei fare nei suoi confronti.
( es. "non pensare ad un pappagallo rosa... a cosa stai pensando?" )

In passato, da qualche parte ho sentito una cosa che mi ha fatto riflettere: "il tuo margine di manovra sei sempre e comunque tu, fare altrimenti comporta influenzare direttamente qualcuno".

"E' un suo diritto" pensai io.

Esiste però un'altro risvolto che ha a che fare con la manipolazione, e se l'influenzare il pensiero altrui è la terra, il chiudersi in un tunnel è il cielo.

Definisco "chiudersi in un tunnel" quando prendi una posizione/opinione fissa e immutabile.
A questo punto, qualsiasi cosa ti venga detto, che senti, che vedi, sai già che non cambierai a prescindere la tua posizione, come se fosse una verità assoluta.

Questa caratteristica è facilmente riconoscibile e le persone che dimostrano tale tratto lo sono altrettanto.
Durante una conversazione vengono cercate sempre e solo le posizioni favorevoli e quasi sempre le informazioni che si accetta vengono dallo stesso tunnel. 

Mi ricorda quando, per un breve periodo, fui vegetariano convinto.
Al di la del sano o non sano, del giusto o non giusto, mi sono comportato esattamente allo stesso modo.
Mi sono schierato con quella linea di pensiero, facevo il sordo verso tutto quello che non corrispondesse alla linea che perseguivo.. o più semplicemente verso quello che non volevo leggere.
Vedevo un qualcosa che metteva in discussione il mio pensiero?.. Cercavo qualsiasi prova, anche senza senso pur di dimostrare il contrario.

Perchè?
 
E se essere oggettivi significasse guardare al di fuori del tunnel, in modo imparziale?.
Ci si deve mettere in discussione, continuamente, in un processo di adattamento costante.

Lo penso perchè tempo fa mi hanno detto "non avendo punti fermi, punti fissi, la tua vita non può reggere".

Significa che per vivere in questa società devo per forza farmi un tunnel mentale?.

La cosa più terrificante dopo quello che ho scritto: e se per sovravvivere me lo fossi già fatto? se lo stessi facendo anche in questo momento? E' un qualcosa che può davvero essere controllato o pura utopia?.


 







mercoledì 17 luglio 2013

Priorità e importanza

Ci integriamo nel mondo che ci circonda ragionando per priorità.


Ad ogni evento, ad ogni incontro, ad ogni parola pronunciata.. noi rivalutiamo continuamente queste priorità.
La prova più lampante di questa rivalutazione è la rabbia.

Per quale motivo un sentimento impulsivo come la rabbia dovrebbe rientrare in questo argomento?.

Non ci si arrabbia per qualcosa che non è importante.. quando ci si arrabbia si alza il livello di importanza che noi attribuiamo a qualcosa.. o a qualcuno.

Penso che questa non sia una scelta consapevole.. non ci rendiamo conto di questa "ridistribuzione".. ridistribuzione che non solo ci stanca ma ci impegna in cose che non ci interessano realmente.

Mi domando, cosa succederebbe se facessimo caso a questi cambiamenti? Finiremmo per conoscere meglio noi stessi? In che modo la coscienza di questo può avvantaggiare le nostre vere priorità? Ci porterebbe tutto questo a diventare persone più obbiettive?.

Prima ho scritto la parola "importante", non è stato un caso scriverlo proprio in questo contesto.
Sono convinto che l'importanza sia l'ombra della priorità, se una cosa perde importanza perde anche la presa che ha su di noi.

Concordo con la teoria del "Transurfing" quando si asserisce che noi "alimentiamo" con la nostra attenzione.
Nel momento in cui smettiamo di dare importanza ad una cosa che ci infastidisce, essa non gode più della nostra attenzione.. ed è lasciata a se stessa.
Al contrario più diamo importanza ad una cosa che ci infastidisce e più infastiditi rimarremo e più a lungo ne saremo tormentati.


Arthur Bloch, sei un genio.


martedì 16 luglio 2013

Apprendimento e istruzione

Al giorno d'oggi il sapere è certificato, se non è certificato il sapere non ha importanza.

Vuoi imparare una nuova lingua? "devi andare ad un corso".
Vuoi studiare chimica? "non hai fatto l'università, mi spiace".
Vuoi imparare a modellare in tridimensionale? "non ho soldi per fare un corso, non imparerò mai".

"Se non fai un corso, se non impari le cose con qualcuno che ne sa più di te, non sai nulla.
E' meglio che aspetti finchè non te li puoi permettere o hai il tempo per farlo."


Wow.

Facciamo un passo in avanti e diamo un occhio all'interno..

La scuola, le materie di studio, le priorità... vengono tutte gestite come ai primi tempi in cui vennero fondati i primi circoli di studio.
Diamo uno sguardo alle materie... italiano, matematica, fisica.. è ovvio che ci sono alcune materie che vengono considerate "più importanti".
Da dove viene questa prerogativa? Il mondo di un tempo e le priorità di un tempo.. equivalgono alle priorità di oggi?.
Una persona che ha priorità diverse, imparerà le cose allo stesso modo? Questo sistema è equo verso tutti gli studenti? anche verso coloro le cui potenzialità inboccano cammini differenti?.

La domanda che mi pongo è la seguente.
"in un mondo in cui l'istruzione viene gestita anche con 20+ persone per classe e in cui l'importanza di un titolo sta diventando sempre più relativa.. vale davvero la pena limitarsi al titolo di studio?".

E' interessante.

Prima erano pochi quelli che accedevano all'università.
Ora che la maggior parte delle persone vi ha accesso ha davvero così tanto senso farvi affidamento per essere "definiti" sopra la norma e avere più probabilità di trovare lavoro?.

Naah, questa è la nuova "norma" di adesso, la chiamo "inflazione scolastica".

E quelli che hanno la scuola superiore o la scuola media? che speranza hanno di sopravvivere in futuro?.

Io penso questo: una abilità è una abilità, punto e basta, non importa dove la apprendi, tranne poche e rare eccezioni (medicina, chirurgia ecc. ecc.).
A fare la differenza forse è dove affini questa abilità, dove la perfezioni.. ma possedere una abilità non è un diritto riservato per chi va a scuola, è falso ed è uno schema mentale che taglia le gambe a tutti noi.
Concordo con quello che scrive l'autore di un libro interessante, tale Josh Kaufman, a proposito dell'imparare: Il limite non è mentale, è emotivo, non crediamo che questo sia possibile! abbiamo paura di ridicolizzarci di fronte agli altri e ci blocchiamo.
In realtà la curva di miglioramento iniziale, quando si pratica una cosa nuova, è talmente ripida da lasciarci increduli anche dopo poche ore.
Secondo l'autore menzionato sopra, questo avviene soprattutto durante le prime 20 ore, lasso di tempo durante il quale si può portare qualsiasi abilità ad un livello medio.
Noi possiamo fare quello che vogliamo, oltre a quello è solo il talento a fare la differenza fra la maestria e l'eccellenza.

Internet rappresenta la risposta crescente alla sete di conoscenza dei giovani di oggi e fornisce strumenti e teoria in misura molto maggiore rispetto alle aspettative della maggioranza di noi.
La neuroplasticità ci dice una cosa molto diretta: siamo fatti per specializzarci nel fare bene un qualcosa di altamente specifico.

Un muratore si ricorderà mai le derivate studiate a scuola?.












Introduzione


Ciao a tutti.. signori e signore, giovani, ragazzi, anziani.. e chiunque abbia un cervello per ragionare.
Questo blog narra riflessioni quotidiane, non è un blog per persone chiuse di mente e si prefigge un solo obiettivo: darvi una visione alternativa delle cose che ci accadono tutti i giorni.

Come lo faccio? ragionando sul quotidiano, cose concrete, fatti che ci capitano continuamente... alcuni dei quali consideriamo, altri che invece tralasciamo.

Il margine di manovra che ho è molto stretto, ha a che fare interamente con il mio modo di pensare e non direttamente con voi, e ho fatto questa scelta perchè ha molto a che vedere coi vostri diritti di esseri pensanti.
Non è mia intenzione convincere nessuno ed è vostro diritto non farvi convincere dalle semplici parole, è vostro diritto ragionare fuori dal tunnel dei pensieri altrui usando il vostro buon senso come lente a contatto.. come filtro.

Scriverò spesso.. non tutti i giorni... ma spesso.

Perchè scrivo questo blog? perchè cerco qualcosa che non troverò mai.. ma mi piace ugualmente cercare quel qualcosa.
Mi ritengo una persona singolare, mi piace ricercare l'oggettività e il fare del mio meglio per vedere le cose come sono, e non per come dovrebbero essere.

Questo ha due facce, come tutte le cose.

Come tutti, a volte ci riesco... e a volte no, per questo si tratta di un percorso di ricerca, una ricerca basata su tutto e sul niente.

Benvenuti.