venerdì 22 novembre 2013

La tigre dal corpo di sabbia: riflessioni sulla modestia e sull'umiltà

Umiltà e modestia.
Se le parole potessero essere gemellate, seguendo la concezione comune, queste due sono le prime che sottoporrei.

Giuro.
Fino a ieri usavo queste due parole come se avessero lo stesso significato.
Per giunta negli stessi contesti. 

Le parole umiltà e modestia hanno due significati diversi, eppure vengono usate tutti i giorni come se fossero la stessa cosa.
Anche da parte mia, senza rendermene conto.

Entrambe descrivono un grande modo di vivere la vita, e l'una senza l'altra è come una notte di mezza luna, bellissima.. ma incompleta.

La modestia rende magnificienza al non ritenersi superiori agli altri, in nessun caso.
L'umiltà rende magnificienza al non ritenere una "cosa qualsiasi" superiore ad un'altra, tutto sullo stesso livello.

L'una è rivolta verso gli altri ed è collegata ad un aspetto sociale.
L'altra è una visione generica, ed è collegata a tutto ciò che facciamo e che viviamo.

Le cose per noi importanti vengono viste con priorità rispetto al resto.

Non è una cosa piccola.

Quando tutto viene messo sullo stesso livello di importanza, la visione si allarga e ci accorgiamo di cose che prima non consideravamo.
Le cose piccole, insignificanti, acquistano un significato più grande.
Le cose grandi, enormi, acquistano un significato più piccolo, vengono ridimensionate.

Esistono dei casi particolari, delle eccezioni.

Può capitare ad esempio che l'essere modesti e umili sia una conseguenza dell'essere passivi, timidi e diffidenti.
In questo caso il valore delle due qualità si riduce, e il motivo di questo non sono gli altri, siamo noi stessi.

Capita spesso.

Quanto vale essere modesti e umili quando non si ha stima per sé stessi?.

La gente non rispetta chi non ha stima in sé stesso.
Se ne approfitta.

Non è così che deve essere.
L'autostima non vale meno della modestia e dell'umiltà, anzi, le rende autentiche.

Una persona modesta e umile, per essere veramente tale ai miei occhi, deve anche camminare a testa alta nella propria dignità, come una tigre dal corpo di sabbia.
 





lunedì 18 novembre 2013

La posizione neutrale e la scoperta del pensiero dicotomico

Curioso.

E' incredibile come spesso le mie ricerche mi conducano ad affrontare tematiche tali per le quali, al termine delle mie riflessioni, arrivo a conclusioni simili a quelle rilevate dalla psicologia.
In particolare da quella branca della psicologia che studia le distorsioni cognitive.

Anzi, no, in fondo non dovrei esserne così sorpreso.
Molti studiano la psicologia proprio per capire, oltre che gli altri, anche sé stessi.
Anche solo leggendo il titolo del post, coloro che hanno esperienza su tali argomenti intuiranno in anticipo il soggetto su cui scriverò adesso.

Particolare è il caso su cui ho riflettuto in questo ultimo periodo.
Un elemento sottovalutato da molti, qualcosa che filtra tutto ciò che vediamo nella vita di tutti i giorni, assegnando a questi eventi un significato "polarizzato".. di parte.

Ragionare in bianco e nero.
Prendere una posizione opposta ad un'altra.
Ragionare per estremi, abbandonando la posizione neutrale in favore dello schieramento.

Tutto questo prende un nome.

"Dicotomia".

Ho sempre pensato che pensare in bianco e nero fosse una cosa normale, per questo ho sempre tralasciato questo argomento senza approfondire mai.
Non pensavo davvero che questo approccio alla realtà avesse delle implicazioni così profonde, e che così tanti fattori potessero emergerne.

E' una condizione naturale in fin dei conti.

Alla base del nostro identificarci in qualcosa.
Alla base del prendere una posizione.
Alla base del giudicare quello che si vede in termini di giusto o sbagliato tenendo fuori l'esperienza personale, i fatti e l'osservazione critica.

Quante volte parlando o litigando con qualcuno ho usato la parola "sempre" e "mai" anche quando non parlavo genericamente?.

"Sei sempre in ritardo!".
"Ti comporti sempre male nei miei confronti!".
"Non ti sforzi mai di essermi di aiuto!".
"Non fai mai niente!"

Mi è capitato spesso.
Anche questa è una facciata che deriva dal ragionare per estremi, mi rendo conto che questo modo di ragionare e di comportarsi.. alla lunga ha effetti molto distruttivi sui rapporti interpersonali.

Pensandoci la dicotomia è diventata a tal punto parte integrante della nostra società che sembra impossibile vivere una vita distaccata da tale concetto.

Quando si parla di una "distorsione cognitiva" ci si aspetterebbe che non si parli in generale.
Come quando parli del diabete, ti aspetteresti che solo una fetta di popolazione ne sia colpita.
Eppure quanto spesso ci capita di prendere una posizione ed essere irremovibili a prescindere?.
( ne parlai anche in un altro post, che potete leggere qui )

Riguarda tutti, me compreso, per quanto io mi sforzi di non prendere posizioni, ogni tanto mi capita.

Penso che cercare di ragionare su un livello neutrale è il prerequisito per la risoluzione di un conflitto, come l'identificarsi in una fazione è il prerequisito per iniziarlo.
In fin dei conti, come dissero quei tali, le emozioni non dipendono dagli eventi esterni ma dal significato che una persona attribuisce loro.

E' come se le persone avessero paura che il ragionare su suolo neutrale li porti a perdere la loro identità.
Loro stessi.
I loro privilegi.
La loro superiorità.

Poi certo, la maggior parte di noi non è in cerca dell'illuminazione o della santità.
Per talune cose trovo poco credibile che non si debba prendere una posizione.
Siamo esseri umani, però vale sempre la pena rifletterci e cercare di essere migliori.

Anche questa è evoluzione. 




lunedì 11 novembre 2013

Riflessioni sulla pietà: Radici di vita quotidiana

Cammino spesso sotto i portici di Bologna.

Questi portici sono incredibilmente efficaci nel consentire l'uso del centro storico anche quando piove. Bologna è famosa per questo particolare.

E' proprio sotto i portici che si trovano spesso i senza tetto..e le persone che chiedono denaro per tirare avanti, fra la menzogna e la necessità reale.

L'altro giorno quando ci pensavo mi è saltato in mente il Bushidō, il codice d'onore che avevano i Samurai.
Un'altra immagine che mi ha evocato è la stratificazione a caste famosa nella società indiana.

Sono solo esempi, ma penso a questi due parallelismi perchè entrambi condividono una visione discriminatoria del valore personale.
Sono esempi che hanno avuto (e che spesso hanno ancora..) un impatto sociale molto forte.

Per visione discriminatoria intendo che all'interno di questi riferimenti, lo status di una persona, l'appartenenza ad una casta molto bassa o la perdita dell'onore comportano la totale perdita del proprio valore di essere umano.
Nei casi più evidenti le persone non ti considerano più come un loro pari, spesso ti ignorano.

Tralasciamo il passato per un momento, voliamo alla nostra vita di tutti i giorni.

Perchè molte persone ignorano coloro che vivono per la strada a prescindere?.
Perchè molte persone sane che vedono una persona disabile, si girano dall'altra parte facendo finta di essere intente a fare dell'altro?.

Ciò che mi chiedo oggi è la cosa seguente: E' possibile comparare la visione discriminatoria menzionata sopra, con il nostro comportamento? ci sono dei punti in comune?.
Mi rendo conto che ho fatto una associazione un po' forte, la scelta è voluta al fine di dare la possibilità di approfondire maggiormente.

Provo a rispondermi da solo, vediamo cosa salta fuori.

Se penso a me stesso non ho problemi ad ammetterlo..  l'ho sempre fatto.
Rifletto.
"Lo faccio perchè non voglio che si accorgano che li guardo. Lo faccio perchè se si sentono osservati si sentono anche giudicati come diversi e non voglio che stiano male per questo".

Questa riflessione mi porta a scrivere che la comparazione che ho fatto sopra è corretta per quanto riguarda l'atto di ignorare, ma nella radice di tale atto trovo molta differenza.

L'intenzione non è di ignorarli perchè valgono meno di me..  immagino che questo valga anche per molte altre persone.
Questo già di per se' è una grande differenza.
Se mi mettessi nei panni di questi individui, tuttavia, percepirei una cosa ugualmente simile alla discriminazione.

Questo sta a significare semplicemente che, a prescindere dall'intenzione, il problema rimane.

E' il frutto del ragionare per estremi?.
Se li guardo faccio loro un torto quindi smetto proprio di guardarli? ignorandoli?.
Ci deve essere una via di mezzo.

Forse sbaglio, ma la pietà perde valore ai miei occhi, in favore del rispetto.
Questo perchè pensare alla pietà mi ricorda due parti, una che è superiore e una che è inferiore.
Persino il dare del denaro ad una persona bisognosa mi evoca lo stesso sentimento, se lo faccio per pietà.

Trovo poco plausibile che questo sia casuale.

Mi piacerebbe che se aiutassi una persona, non lo facessi perchè mi fa pena o perchè ho pietà di lei.
Mi piacerebbe aiutarla perchè è un essere umano, al pari di me, con un sentimento di empatia che non nasce dalla pietà bensì dal rispetto.
Forse se la vedessi in quei termini, inconsciamente mi comporterei diversamente, forse non darei più l'impressione di giudicare gli altri quando li guardo.
Secondo i linguisti, più del 90% della nostra comunicazione giornaliera è non-verbale.
Sono convinto che la radice delle nostre emozioni possa fortemente influenzare il nostro modo di esprimerle.

Mi domando in che modo ci possa essere una opportunità di crescita su questi frangenti, da qualche parte si deve pur partire, nelle piccole cose di tutti i giorni.
Un buon inizio, per me, è stato il semplice atto di salutare queste persone, augurando loro buona giornata.

Non sembra, ma è investendo nelle piccole cose che si ottengono i sentimenti più grandi.