martedì 28 luglio 2015

Problemi e soluzioni

Ho sempre pensato, quando ci fosse un problema di qualsiasi tipo, che esistessero tre posizioni.

La posizione della persona che cerca la soluzione.

La posizione della persona che ha creato il poblema ed è parte del problema.

La posizione neutra, della persona che se ne frega, o che lascia l'argomento in sospeso.


Recentemente ho rivalutato questa posizione.


Per quanto tempo mi sono lamentato dei problemi senza fare nulla per risolverli?.
Quanti scontri ho avuto, che non hanno portato a nulla di fatto perchè una o entrambe le parti hanno lasciato perdere?.

No, non più.
Mi sono convinto che le posizioni in realtà siano soltanto due, non bisogna prendere e prendersi in giro.

La posizione della persona che cerca una soluzione ai problemi.

La posizione della persona che è parte del problema.

Questo pensiero mi ha colpito a ciel sereno, ha capovolto il modo in cui approccio i problemi.
Mi ha fatto riflettere se davvero abbia senso lamentarsi di qualcosa senza al contempo contribuire alla soluzione dello stesso.

..A quanto sia fastidioso ascoltare una persona, anche per strada, che si lamenta di qualcosa lasciandosi alle spalle qualsiasi traccia di approccio costruttivo.

Questo concetto lo riprende brillantemente il titolo di un libro di Peltzer Ulrich, "Se non sei parte della soluzione, sei parte del problema".






giovedì 7 maggio 2015

Il mondo nello specchio

E' assolutamente inutile.
Giro e rigiro.. mi guardo attorno, non posso non notarlo.

Sapevo che ogni persona ha un lato di se' che non mostra agli altri.
Il mio errore, in passato, è stato quello di fermarmi li, di non guardare oltre a questa affermazione.

Mi sono interrogato sulle persone che conosco.
Sulle persone che frequento.
Sulle persone con cui lavoro.
Sulle persone con cui esco.

Riflettendo, sono giunto alla stessa conclusione a cui altri sono arrivati, prima di me.

A volte, quando si entra nel carattere delle persone, noto sempre più quanto il mondo che percepiamo sia in realtà un mondo specchiato.. e non la realtà delle cose.

Questo principio è direttamente proporzionale a come le persone si pongono verso loro stesse.
Nello specifico, parlo della estremizzazione, della necessità di "dimostrare", dell'autosoppressione.

L'estremizzazione deriva dalla propria insicurezza.
Se sono così sicuro di qualcosa, perché mai dovrei estremizzare, nel tentativo di dimostrare qualcosa?.
Una persona "eccessivamente" calma e tranquilla nasce dalla soppressione e dall'auto-commiserazione, anche quella è una forma di estremizzazione che si può spesso riconoscere.

Trovo che queste cose siano molto legate alla crescita di una persona, alla maturazione interiore.
Un conto è intravedere la radice del proprio essere eccessivi, un altro paio di maniche è invece accettarlo, ammetterlo.

Quando realizzi che ti comporti in un determinato modo, proprio perché in realtà sei diverso, in te scatta qualcosa, ma hai paura.
Nonostante questo persisti, continui, perché?.

Per essere riconosciuto la società ha un mantello di canoni e superficialità.

E è così che il mondo gira.. e più enfasi metto, più voglio dimostrare qualcosa a qualcuno.. e più si realizza la regola dello specchio.

Ed è così che i fanatici sono i primi a nutrire dei dubbi in quello che predicano e sono più deboli di quanto possono sembrare, e cercano solo le conferme che vogliono vedere e sentire, entrando nel tunnel .

Ed è così che i soppressi hanno in sé molta più forza di quanto immaginano, e stringono le loro catene nell'autocommiserazione ignorando, nel loro piccolo, quella dignità che da troppo tempo ormai, li cerca senza sosta.


 .











martedì 10 febbraio 2015

L'uomo, i meccanismi e le macchine (Pt. 2)

Proprio l'altro giorno avevo appoggiato un foglio da qualche parte, e mi sono ritrovato, qualche giorno dopo, a cercarlo come un matto.

Se ci penso, facciamo un sacco di cose in modo automatico, senza pensarci e in modo del tutto spensierato, senza il minimo di presenza.

Camminiamo velocemente.
Corriamo in macchina.
Tiriamo fuori una sigaretta dal pacchetto e la fumiamo.
Appoggiamo le chiavi o il cellulare da qualche parte mentre pensiamo ad altro.

Facciamo le cose, ma non siamo realmente noi a farle.
Siamo automatizzati.
Siamo schiavi di un ciclo di azioni che, ripetendosi nel tempo, diventano meccanismi automatici.

Abitudine.
Non mi piace usare questo termine.
L'abitudine mi da un'idea di un qualcosa di limitato e numerabile, ma questo non mi basta.
L'abitudine, per come la recepisco, è solo la punta dell'iceberg.

Voglio andare più in profondità, nel termine "automatismo".
Gli automatismi delle persone li vedo come i meccanismi dell'inconscio.
In altre parole, un modo con cui il nostro cervello ci "tiene per le palle".

Se ci penso, esiste qualcosa nel nostro vivere quotidiano che non sia automatizzato?.
Viviamo le giornate in modo così poco cosciente.
Chissà forse al punto da poter affermare che, quando non siamo coscienti, la nostra natura è uguale a quella di un robot.

Se per davvero ci concentriamo su tutte le nostre azioni quotidiane, movimento per movimento, passo per passo, pensiero per pensiero, parola per parola, ci renderemo presto conto che non abbiamo la più pallida idea di cosa significhi essere coscienti, e soprattutto di quanto sia faticoso esserlo.

La domanda mi sorge spontanea.
E' sufficiente acquisire coscienza, tramite queste continue osservazioni?
Fino a che punto questo percorso ci può de-automatizzare?.
De-automatizzarci ci rende davvero meno robotici?.




mercoledì 7 gennaio 2015

La paura dei piloti automatici

Mi capita ogni tanto di voler fare dieta.
Mi capita ogni tanto di resistere ad una abitudine.
Mi capita ogni tanto di riflettere su come funziona la mia testa.

Vi è mai capitato di resistere ad una tentazione, e avere la sensazione che per quei pochi minuti, il modo di ragionare non è più il "vostro"?.

Ebbene, in tal proposito, riflettendoci, sono giunto alla conclusione che la cosa più difficile, per noi esseri umani, è cambiare.

Il nostro stile di vita si basa completamente sulle abitudini, o un ciclo di azioni che vengono svolte con una certa regolarità, e allo stesso modo.

La nostra mente è alla continua ricerca della stabilità, della situazione nella quale il nostro cervello può catalogare tutto come "è tutto ok, è tutto sicuro, non ci sono pericoli".

Siamo biologicamente formati per resistere al cambiamento.

Quando interrompiamo un'abitudine radicata, c'è sempre un senso di timore, di disagio, di paura verso quel cambiamento.
La sorgente di questo senso di disagio è l'Amigdala, una parte del cervello, la più "primitiva".

Voi mi direte "non ho problemi a non mangiare il riso" ad esempio.
E' una giusta osservazione, e questo dimostra che non tutte le abitudini sono uguali, e molto di questo dipende da quanta varietà c'è nella abitudine stessa, e da quanta gratificazione questa abitudine ti dà.
E' più semplice interrompere un'abitudine che non ti dà gratificazione.

Prendo di proposito un esempio un po' estremo, giusto per farvi capire meglio.
Una persona dipendente da alcolici/sigarette, un'abitudine molto radicata.. e molto profonda.

Ogni qualvolta avrà l'occasione di bere o di fumare, al solo pensiero di interrompere, in questa persona entrerà in gioco la paura, o comunque un forte sentimento di disagio.
Si, proprio così, la paura di perdere quel che si sta rifiutando, la paura di cambiare un qualcosa di molto radicato.

Dove sta il problema? è solo questo?.

Sarebbe tutto molto semplice se si realizzasse questa situazione in modo cosciente.
E' proprio questo il dramma: non si è coscienti di questo passaggio, non te ne accorgi.
Soggettivamente si percepisce soltanto una "voglia irrefrenabile per quello che ti manca".

Per questo si ha la sensazione di non ragionare con la propria testa, come se ci fosse un pilota automatico che ragiona al posto tuo e ti "rimette in carreggiata".  

Io stesso ho delle domande a riguardo.
Fino a che punto conoscere la presenza del pilota, può permetterti di controllare la situazione?.

Al riguardo, spulciando per la rete ho trovato un testo molto carino, di una scrittrice chiamata Emma Butin. (link)

Parla del come usare le "pause" per facilitare la modifica delle abitudini, un concetto molto interessante.