venerdì 14 febbraio 2014

Eutanasia e strumenti di tortura

E' stata una riflessione molto lunga.

Leggendo per la rete le varie posizioni pro e contro all'eutanasia, mi sono sorti numerosi pensieri.

Premetto che ci sono moltissimi casi.
Sarò chiaro: in questo post non voglio entrare nel merito di chi non è nella condizione di esercitare alcuna capacità decisionale.
Mi rivolgerò quindi nello specifico, a quei casi in cui il paziente ha pienamente coscienza delle sue scelte e non è nella condizione di potersi fisicamente dare la morte. (Es. Piergiorgio Welby)

Sentendo numerosi pareri, ci sono alcune cose che mi hanno colpito profondamente, che sono poi diventate spunto di riflessione.

C'è un gruppo di persone che sostengono una motivazione etica dietro al rifiuto dell'eutanasia.
Per questo gruppo se aiuti una persona a morire sei un omicida, equiparabile ad un serial killer che ti entra in casa e ti spara.
Si prende tutta l'erba e si fa un fascio, idem da parte della legge. (legge 578 del '93).

Penso questo.
La maggioranza di coloro che prendono una posizione, vedono solo un lato della medaglia.
Escludono l'altro.
Si guarda sempre le cose sotto una visione di giusto o sbagliato.

Domanda: non basterebbe un foglio di carta redatto con notai, medici e psicologi per separare nettamente queste due realtà, come fanno in Belgio?.

Dove mettiamo il diritto del paziente?.

Trovo che darsi la morte è il diritto più grande che puoi riconoscere ad un essere umano.
E' anche uno dei diritti più difficili da riconoscere perchè comporta la perdita di una persona cara.

Ho sempre pensato che i diritti di una persona si fermassero prima di invadere i diritti di un'altra.
Si paragonano le sofferenze incalcolabili di un paziente ad una persona depressa che chiede al proprio partner di premere il grilletto.

No.

Non sono la stessa cosa, non possiamo continuare a vedere il mondo in bianco e nero.

Questo mi porta a riflettere sul significato della parola "vita".

Molti usano una definizione o l'altra solo quando fa comodo a loro, come i buonisti che cambiano facciata quando qualcosa di tragico li tocca sul personale.

Concludo dicendo questo.

Vedere la vita solo fine a sé stessa.
Non è forse questo un insulto a questa vita che tanto eleviamo?.
Non è forse l'abbassare la vita ad una banale partita a scacchi?.

Se la vedessimo all'opposto?.
Se in certi casi fosse proprio la morte e rendere grande una vita?.

Molti la fanno facile dall'alto dei loro giudizi.
Un tempo Luttazzi disse una cosa che mi illuminò d'immenso:
"chi non gioca al gioco non faccia le regole".










domenica 2 febbraio 2014

Il mito della genialità

Quasi tutti concordano, un fondamento basilare del modo di pensare della gente.
E' diventato costume, con il passare dei secoli, pensare che geni si nasce.

Si pensa a geni come Mozart, Beethoven, Newton, Tesla.

Le ricerche scientifiche applicano un test che valuta il quoziente intellettivo delle persone, come se l'intelligenza fosse un qualcosa di facilmente confrontabile.
Non facciamo lo stesso quando andiamo a fare la spesa nella sezione frutta e verdura?.
Il gene dell'intelligenza.

Ebbene: Non concordo.

Non riesco a concepire questo forzare la mano nel sovrapporre le capacità intellettive.
Delle due apprezzo maggiormente Howard gardner, che ha provato a differenziare l'intelligenza di una persona in sette categorie.

Tutto questo va in contrasto con la nostra natura neuroplastica.
Siamo individui altamente adattogeni.. non solo muscolarmente.

Nella mia mente lo sport è l'esempio per eccellenza.
Penso che l'intelligenza sia un meccanismo specializzato, nello stesso modo in cui l'allenare un muscolo con un esercizio, ti permette di diventare forte in quell'esercizio e in quella modalità di allenamento.
Questo perchè la forza ha una componente mentale ben superiore a quanto immaginiamo.
C'è un motivo se chi si allena per uno sport di potenza non si allena come un bodybuilder.
C'è un motivo se chi vuole diventare un maratoneta non fa gli scatti sui 100 metri.
Rientra tranquillamente nel principio della specificità.

Pffff... i geni.
Mi dispiace che quado ci si pensa si tenda a considerare solo le loro opere.
Le persone ignorano il percorso da A a B di questi individui, come se fossero nati già in B.

La gente pensa a Beethoven come un genio ignorandone il padre musicista, che lo torturava durante le sessioni di pratica.
La gente pensa a Picasso come un genio ignorandone il padre pittore, gli anni d'infanzia passati insieme dipingendo continuamente.
La gente pensa a Newton credendo che una mela l'avesse colpito in testa, scontando che nessuno, prima di allora, si fosse accorto che le cose cadono verso il basso.
La gente Pensa a Mozart ignorando l'influenza del padre musicista e l'enorme abilità della sorella Nannerl, messa in secondo piano dopo la nascita del fratello.
La gente pensa ad Einstein ignorando l'enorme influenza che ha avuto un amico di famiglia (Max Talmey) sui suoi studi e sul suo modo di studiare.

Non trovo giusto il considerare le opere finali come delle apoteosi della genialità, anzi.
Trovo che il principio di specificità si adatti perfettamente anche a questa situazione.

Malcom Gladwell nel suo libro "the story of success" definisce come "maestria" di un soggetto la conoscenza, in un determinato campo, ottenuta dopo 10.000 ore di pratica.

Sembrano un' infinità vero? Eppure è tutto relativo:
Fate fatica a parlare con qualcuno usando la voce?.
Fate fatica a leggere a voce alta un testo qualsiasi, scritto nella vostra lingua?.

Ricordate le difficoltà che avete dovuto superare, da piccoli, per saperlo fare?.
Non avete forse praticato per decine di migliaia di ore per saperlo fare in modo così fluente?.
Eppure non ve ne rendete conto.

E allora mi piacerebbe stracciare questo velo di genialità che da sempre ci impone la sua volontà!!.
Impostora e testimone involontaria al contempo, strumento autocommiserativo d'eccellenza!!.

L'epilogo di oggi è il gene che determina la genialità, il santo graal dello studio.
Su questo ho un solo commento.

Siamo esseri umani.
Una miccia, del materiale innescabile e un pizzico di cattiveria.. è tutto quello che ci occorre.
Forse intuite a cosa mi riferisco, e credetemi, la genialità a confronto è nulla.










 


martedì 21 gennaio 2014

La disciplina e la natura della scelta

La nostra società è famosa per far credere alle persone di avere una scelta.
E' talmente brava che ci convince di aver fatto delle scelte prive di influenze.

La maggioranza delle nostre scelte vengono fatte in base alle possibilità che gli altri ci mettono a disposizione.
Molti agiscono come se le scelte che vengono proposte loro, siano l'unico margine di manovra.
Si fermano li.

"Perchè?" mi sono chiesto.

Forse perchè è più semplice.
Forse perchè siamo presuntuosi.
Forse perchè ci evita lo sforzo di cercare una soluzione per conto nostro.
Forse perchè ci illudiamo che meno tempo = più efficienza = scelta migliore.

Sia chiaro.
Con quello che scrivo non intendo insinuare che una scelta condizionata sia sempre una scelta sbagliata.
Lo trovo falso.

Eppure penso che condizionare ed essere condizionati usando la natura della scelta sia facile.
Persino con il più onesto dei propositi.
Prendiamo un esempio pratico, volontariamente un po' al limite.

Poniamo che avete un problema importante sul luogo di lavoro e volete parlarne con un vostro superiore.
Dopo l'esposizione del problema, decidete di aggiungere al contesto un paio di possibili soluzioni.
Da un lato farete la bella figura di chi si interessa dei problemi dell'azienda.
Dall'altro lato, metterete in atto su di lui lo stesso sistema che la società adotta su di voi.
Se il vostro superiore è una persona molto passiva e facilmente influenzabile, si limiterà a ragionare all'interno delle possibilità che gli avete dato.
In parte dipende anche dal vostro modo di rapportarvi.

C'è chi lo fa con le migliori intenzioni e involontariamente.
C'è chi lo fa volontariamente per tirare acqua al proprio mulino e alla propria carriera.

E' solo un esempio ma pensateci.
Fate delle associazioni con il vostro passato.
Ritroverete lo stesso "pattern" in molte situazioni.

L'esistenza del marketing, della pubblicità, degli spot televisivi.
Fanno competizione su chi ha la presa più forte.
Sono la massima espressione di questa imposizione.

Imposizione???.
Si.
Loro non impongono nulla, ma il risultato non cambia.
A loro è il risultato che interessa.

Passiamo oltre.

Nel titolo del post ho citato un altro elemento importante: la disciplina.
Quando ho deciso di scrivere sulla disciplina, ho inteso esclusivamente quel frangente della parola disciplina che riguarda il controllo su sé stessi.

Ho scelto la parola "disciplina" perchè è una parola forte, ma voglio discostarmi dalla visione classica.
E' una parola che ricorda un maestro che scolpisce la sua opera, plasmandola a suo piacimento.

E' mio pensiero che la natura della scelta possa essere esercitata, come facile forma di controllo, solo su chi percepisce la vita come uno spettatore.

Di proposito ho usato il termine "percepisce" al posto di "vive".
"Percepisce" è un termine passivo.
"Vive" è un termine attivo, ed è sia azione che condizione.

Una persona autodisciplinata è un individuo che decide di vivere con risolutezza.
Oltre i margini di manovra, oltre le situazioni senza via di uscita.
Per farlo ella inizia un percorso.
L'inizio di un percorso risiede sempre in una presa di coscienza.








giovedì 16 gennaio 2014

le ali della libertà

Quanto siamo tutti bravi a parlare di libertà.

Ognuno ha una propria visione di cosa significhi la parola libertà.
Questa visione nasce dal passato di una persona, e ogni persona vive la "libertà" in modo diverso.

Wikipedia la definisce così:
"Per libertà s'intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un'azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto."

Pensandoci bene però, a prescindere da come la vediamo, siamo tutti bravi a pretendere.
Peccato che non siamo altrettando bravi a rispettare la libertà altrui.

Prendiamo l'amore.
Viviamo in un mondo in cui il valore possessivo dell'amore supera di gran lunga il valore affettivo di tale sentimento.
Osho nei suoi scritti ha espresso meravigliosamente questo fatto.
Egli ha associato l'amore all'apprezzamento, slegandolo dal possesso.

Leggendo tali versi però mi è emersa una domanda:

"ma se lasci libera una persona senza restrizioni, la lasci libera anche di amare un'altra persona.. per cui la lasci libera di tradirti!".

Ebbene, dopo aver riflettuto sul significato di "tradimento", sono giunto alla conclusione che ha ben poco a che fare con l'amore.

Il tradimento non sarebbe più tradimento se si informa il partner delle proprie intenzioni.. non è così?.
Questo significa che il tradimento non è in sé l'amare un'altra persona al di fuori del proprio partner.

Il tradimento è il farlo di nascosto, il sotterfugio, la mancanza di sincerità e di trasparenza.
A venire tradite sono le aspettative, non l'amore in sé.
L'amore si può solo dare, non si può controllare.

Sono tanti i risvolti della libertà, e sono molte le situazioni.

Mi piace prendere me stesso come esempio.
La cosa per me più difficile è lasciare che gli altri facciano degli errori senza interferire, rispettando le loro decisioni.

E' difficile a volte perchè quando tengo ad una persona mi viene spontaneo "guidarla", cercare sempre il meglio per quella persona.
Eppure non mi rendo conto che così facendo, non faccio altro che obbligare gli altri a pensare con la mia testa.

Ci sono così tanti dogmi che incatenano il nostro modo di pensare.
La paura di chi è diverso, degli omosessuali, di chi ha credenze diverse.

Per questo ci sentiamo rassicurati quando siamo noi ad avere dei diritti e loro non ne hanno, ce ne stiamo nel nostro piccolo mondo di tutti i giorni.
 
Ci sentiamo rassicurati di stare in un gruppo, a prescindere da cosa il gruppo dica o faccia.
Non importa se ti dicono che una margherita ha più diritti di un ciclamino giusto?.

Perdere la capacità di porsi delle domande, educare a non avere il senso critico.
Essere educati a pensare come dei pappagalli.

Eppure non ce lo chiediamo mai.

Perchè mi da fastidio? 
Perchè lo vedo come un nemico o una minaccia?
La mia paura è fondata o mi sto facendo condizionare dalla paura di altre persone? Da cosa che sono successe ad altri?.

Ci schieriamo in un plotone di esecuzione senza nemmeno sapere perchè lo stiamo facendo.
Senza un motivo fondato e meditato.

Segue l'inevitabile giro di ruota che ci regala il piatto prelibato di chi si nutre del potere.

Apriamo il menù di oggi.

Ali strappate alla griglia, con un pizzico di sale.

Ma... aspetta.. siamo sicuri che li in mezzo, fra le tante ali, non ci siano anche le nostre?.










domenica 5 gennaio 2014

Generazioni

Auguro a tutti voi un buon anno.
Che sia ricco di opportunità e di crescita.

Dedico questo pensiero, con grande rispetto, ad una insegnante a cui tenevo molto.
Spirò nel dicembre 2013.



Quando ero piccolo, mi sentivo dire frasi del tipo:
"Voi siete la nuova generazione, dovrete darvi da fare per rendere migliore il nostro futuro".
"Siamo in mano alle nuove generazioni, bastoni per la nostra vecchiaia".

Rifletto spesso su quei momenti.
Non nego di aver provato una notevole nostalgia.
Nostalgia rivolta ad un passato che appare sempre più roseo del presente.

Il presente, si.
Poprio questo presente nel quale ad una persona di trent'anni o trentacinque anni è negata l'assunzione perchè troppo "vecchia".

Mah.
Forse è stato il cambio generazionale ad essere stato compromesso... sabotato.

Ritengo che il cambio generazionale sia un concetto troppo importante, per essere tralasciato.
Importante perchè offre lavoro.
Importante perchè offre crescita personale.

Perchè menziono la crescita personale?.
E' proprio questo su cui ho riflettuto in questi giorni.

Ritengo che il cambio generazionale sia un passo necessario per completare noi stessi e la nostra crescita.
Ritengo anche che il modo in cui questo avviene è tramite un forte contrasto.
Un conflitto interiore fra quello che siamo abitualmente e quello che il poeta Giovanni Pascoli definisce come "il fanciullino": il proprio sé bambino.

Per quanto una persona sia stata protetta o ignorata.
Per quanto avessimo a cuore o meno i nostri zii e i nostri nonni.
Trovo che la loro scomparsa, indipendentemente, operi dentro di noi una forte trasformazione.

Negli occhi del fanciullino loro sono ancora presenti.
Trovo che sia molto doloroso.

Una lenta transizione, al cui termine, siamo persone diverse.
Non siamo più le persone che credevamo di conoscere, ce ne accorgiamo presto.

Le nostre abitudini.
Il modo in cui pensiamo.
Il modo in cui trattiamo gli altri.

Sono i dettagli ad essere cambiati in qualcosa.

Sono le "Generazioni" e il loro susseguirsi che apportano questi cambiamenti così profondi.
C'è chi cambia di più.
C'è chi cambia di meno.
Proprio come queste bizzarre mezze stagioni.

Il loro susseguirsi ci toglie violentemente dal bozzolo di favole in cui vivevamo, dandoci la possibilità di vedere il mondo sotto un'altra prospettiva.







domenica 15 dicembre 2013

La fabbrica dei momenti

Mi trovo, seppure di rado, a parlare della felicità.

Ci possono essere molti punti di vista al riguardo, molti modi di intendere la felicità.

Ognuno ha il suo.

Quando mi viene chiesto cosa mi rende felice, il modo in cui sono solito rispondere è il seguente:
"Mi fa felice investire nelle situazioni".

Solitamente, in seguito a questa risposta, le persone con cui sto parlando mi guardano un po' strano.

La mia risposta nasce da una riflessione.

Da quando sono piccolo, sento parlare della felicità come di un qualcosa di persistente.
Un qualcosa che una volta che la trovi, rimane sempre con te, come nelle favole.

Non ci riesco.
Non riesco a dipingerlo, come fanno molti, come un sentimento costante.

Ad esempio non riesco a identificarmi, con chi interpreta la felicità come un qualcosa di fatto e finito.
Un lavoro, una persona, un oggetto, una fede.

L'unico modo in cui riesco a comprendere la felicità, è in modo situazionale.
La vedo come una serie di momenti piacevoli.
Un flusso di situazioni che generano in noi una sensazione di felicità, di gioia.

Per questo, investo le mie energie nel ricercare situazioni piacevoli.
Questa è per me la felicità.
L'essere felici il più spesso possibile.

Ma questo non mi basta, non posso escludere la radice da cui nasce la mia visione.

Pensiamoci.
Che senso avrebbe la felicità se si è sempre felici?.
Come potremmo apprezzare il benessere senza l'esistenza del malessere?.

Non possiamo essere felici se prima già lo siamo.
Possiamo esserlo solo se prima non lo siamo stati, per brevi o per lughi periodi.
Solo così possiamo riconoscere in noi quella differenza, quella gioia che ci pervade.

Se vivessi in una felicità costante e illimitata, probabilmente diventerei insensibile, mi abituerei.
Abituandomi la felicità perderebbe valore ai miei occhi.
Ringrazio di essere quello che sono.

Non è forse questo lo yin e lo yang della fabbrica dei momenti?.

Andiamo oltre.

Per quale motivo ho scritto sulla felicità?.
Il collegamento potrà sembrarvi curioso.

Mi è venuta in mente rileggendo il buon Yamamoto Tsunetomo, nel suo libro "Hagakure".
Un libro piacevole, a tratti molto profondo, che narra del codice dei samurai.

"Tutti si lasciano sfuggire il presente e poi lo cercano come se fosse altrove".
"Nessuno sembra accorgersi di questo fatto".
"Tienilo a mente, accumula esperienza su esperienza".
"Raggiunta questa consapevolezza non sarai più quello di prima".
"La vita non è che il susseguirsi di un momento dopo l'altro".





martedì 3 dicembre 2013

Il lato oscuro dell'efficienza

E' passato un po' di tempo dal giorno in cui scrissi a proposito del campo di efficienza. ( link )

Ben 119 giorni.

Wow, come passa il tempo!.. ma forse non è sempre un male.
Il tempo dà modo di pensare, di riflettere, di porsi degli interrogativi.
In questo caso ho riflettuto sul fatto che in certi casi, avere una buona efficienza in qualcosa ha dei lati negativi.

Su questo apro una breve parentesi.

Ieri ho letto sul sito della commissione europea che la maggioranza dei giovani fra i 15 e i 24 anni morti in incidenti stradali sono neopatentati. ( link )
Ho esaminato la documentazione presente su quel sito, ma non ho trovato quello a cui ero interessato.
Una ordinazione dei grafici "per esperienza di guida".

Con il termine "neopatentato" si parla di chi ha una esperienza di guida inferiore ai tre anni.
Quello a cui sono interessato è.. "Qual'è la percentuale di questi giovani che fa un incidente mortale, ad esempio, nei primi 3 mesi dal conseguimento della patente?".

La curiosità mi stuzzica.
Se qualcuno ha in mano dei dati di questo tipo e fosse disponibile a condividerli con me, gli sarei enormemente grato.

STOP.
Chiudo la breve parentesi sui dati della commissione europea, non volevo dilungarmi.

Per quale motivo sono interessato all' "esperienza"?.

Perchè trovo che in certi casi, l'avere meno efficienza in qualcosa possa tenerci lontani dai guai, ma voglio vedere fino a che punto.

Godere di una efficienza maggiore nello svolgere una azione comporta, gradualmente, la tendenza a dare qualcosa per scontato.
Prendere decisioni azzardate.

Si può relazionare la cosa all'altro opposto.

"Ha meno esperienza quindi può combinare dei guai".. dicono.
Concordo, ma fino ad una certa soglia.
Penso che sia solo una faccia della medaglia.

Chiudo gli occhi.

Immagino di entrare in una enorme stanza buia, una stanza in cui sono stato solo un paio di volte in passato.
Immagino di voler correre alla cieca.
Il mio istinto mi suggerisce di abituarmi prima all'oscurità procedendo lentamente, con cautela.
Questo perchè non ricordo bene cosa c'era nella stanza.
Potrei farmi male correndo.

Immagino di entrare in una enorme stanza buia, in cui sono stato migliaia di volte, persino poco fa.
Immagino di correre pur vedendo poco-nulla, dando per scontato di conoscere bene la stanza a memoria.  
E se nel frattempo qualcuno ha spostato qualcosa?.

Non è forse quando diamo una cosa per scontata, anche altrui, che mettiamo a repentaglio la nostra incolumità?.

Forse dovremmo essere più modesti sulla nostra preparazione e sulle nostre abilità, a prescindere.
Forse potrebbe insegnarci qualcosa.
Forse potrebbe salvarci la vita.